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lunedì 10 aprile 2017

Il ritorno della rondine

- Un racconto di Annalisa Ferri -





Gli occhi esausti individuavano tra macchie marrone e verde fresco un impercettibile puntino bianco e rosso. Il volo iniziato da settimane stava per concludersi finalmente. Nel mezzo dello stormo stanco i suoi occhi si nascondevano tra il battito di ali ritmato e svelto. Pattinando sul cielo celeste sfumato di fiocchi di panna bianchi e leggeri, giungevano le rondini, annunciatrici di primavera, in una mattina calda. Dall'alto tutto il mondo pareva immerso nel silenzio, il vento solo pizzicava il gelso e diffondeva i suoni della natura lontano, nel sottobosco dove ora nasceva la felce. Ognuna di esse cercava con lo sguardo il punto preciso in cui planare, in cui ricominciare una nuova vita estiva tra cortili e balconi, grano e tulipani, fichi e grappoli di uva. Si dividevano come piccoli mazzi di fiori bianchi e gialli, dirigendosi verso i campanili familiari, nelle città, nei casolari abbandonati, gli uccelli dalla coda biforcuta. Tra di loro vi era una giovane rondine che stanchissima per essere al suo primo volo, cercava spasmodicamente, tra gli altri infiniti, il suo paese.



Volando sul mare, sulle grandi città, infine sui laghi coperti di luce, si avvicinava, ed il suo cuore lo sapeva, al borgo in cui era nata. Lo vide ingrandirsi sempre più mentre planava, dimenticandosi quasi dei compagni di viaggio che a ciocche tornavano alle proprie strade, e quel borgo di pietra, glicine e campi sembrò a lei grandissimo. Riconobbe man mano che si avvicinava, il campanile alto dove avevamo riposato un pomeriggio di agosto colta da un improvviso temporale rumoroso. Avvicinandosi notò il campo arato dove planava con le compagne dopo la mietitura per trovare cibo e danzare improvvisando la coreografia in una sera di inizio luglio al tramonto ancora chiarissimo. E vedeva poi quelle strade piccole, strette, costeggiate da fiori appena nati, ancora piccoli, e grossi alberi nodosi in fiore. Diveniva bianco e rosa quel puntino di borgo, come bianchi e rosa erano i boccioli dei meli, dei ciliegi, dei peschi, degli albicocchi e del mandorlo davanti al casale disabitato, nido del cuculo. L'odore di erba nuova si perdeva nel vento ma lentamente poi saliva, fino ad incontrarsi con la discesa della rondine. Iniziò a battere forte il suo cuore, era finalmente tornata a casa. Il gruppo delle compagne la seguiva a stento: ormai i ricordi sbattevano forti più delle ali. Vide il cortile sempre in ombra nei pomeriggi afosi d'estate e la sedia di paglia usata per ricamare e riconobbe il capannone dove gli attrezzi pieni di polvere venivano riposti quando la luna piena illuminava le notti interminabili.


 Toccò per prima il filo da cui era partita mesi prima, ordinatamente, insieme alle altre, una mattina di ottobre in cui c'era foschia ed il sole si attardava ad uscire da dietro il bosco che sapeva di legna tagliata e vino nuovo. Iniziò a cantare con tutta la sua forza, l'ultima che ancora possedeva, per annunciare al borgo il suo ritorno. Le compagne che planarono con lei fecero altrettanto emettendo brevi ma decisi pigolii, cambiando l'ordine delle melodie delle cinciarelle e dei passeri, mescolandone gli spartiti, lanciando disordinatamente in aria. Si diresse al suo nido, ancora intatto sotto il tetto della casa dal giardino col grosso fico vecchio e maestoso, casa delle lucciole, e vi entrò.



Sentì nuovamente l'odore di terra, di sole nuovo e dopo aver volato ancora, con le forze ritrovate, vi si nascose, emettendo qualche pigolio di commossa gioia per tutto il giorno. Fu così che un bambino curioso, affacciandosi nel suo cortile vide quella testolina bianca e nera spuntare, e per tutto il borgo che profumava di nettare, urlò, dando voce a chi lo sussurrava commosso o a chi sorridendo lo aveva notato, correndo e saltando: "Sono tornate!".





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