Cerca nel blog

venerdì 30 giugno 2017

Il vecchio mulino

(Daniela - Luna Nera)

- Un racconto di Annalisa Ferri -



Nel caldo dei giorni di metà giugno il piccolo fiume muoveva con tutte le sue forze la ruota grande del vecchio mulino in pietra. Il grano iniziava ad essere tagliato e come ogni anno le stradine bianche costeggiate dal timo e dai papaveri venivano battute più volte al giorno, perché tutti, dai villaggi vicini, venivano tra quelle pietre antiche per macinare i chicchi di cereali cresciuti con fatica. Il mulino era posto in mezzo ad un campo profumato di rose dai petali chiari e di ciuffi di finocchio selvatico, avanti al ruscello che si gonfiava in autunno con le prime piogge ed il cielo grigio, ma che regalava per tutto l'anno acqua fresca che all'alba rosea i camosci scendevano a bere. Nel tetto provato dal sole e da grandi nevicate invernali, un visibile buco tra i sassi era divenuto il nido dei colombi che ogni anno insegnavano da lì ai loro piccoli a volare sulla terra, durante l'alba chiara immersa nel silenzio e nella pace della campagna. Viveva in piccole stanze un mugnaio anziano, che con la sua famiglia aveva sempre vissuto lì: suo nonno, anni ed anni fa, aveva costruito il mulino e così suo padre e poi lui se ne occuparono con dedizione. Sapeva che in quei giorni grossi carri e rimorchi di trattori sarebbero giunti copiosi per macinare il grano, il mais, il sorgo e quei cereali che al sole divenivano ancora più biondi e che la luce della luna rendeva distese argentate piene di onde sfumate create dal vento. Alla sera il mugnaio passeggiava intorno al mulino con le mani dietro la schiena: sentiva il silenzio notturno rotto dalla grossa ruota che si tuffava nell'acqua e dai grilli e dai canti delle rane che nelle acque vicine cercavano l'amore.



Sentiva la vecchia civetta sbattere le ali tra i rami dei ciliegi che stendevano fino alle stelle i loro rami e coloravano di palline rosse l'entrata al mulino. Quel paesaggio che fin da bambino lo aveva accolto ,sembrava nuovo ogni sera e sempre lo commuoveva: vi era sempre la stella della sera che sorgeva prima che l'anziano iniziasse a mangiare e salutava il suo pasto brillando in mezzo ad un manto ancora chiaro. Eppure ogni sera il mugnaio la attendeva sporgendosi dalle piccole finestre, e sorrideva quando vedeva che era ancora là. Conosceva il profumo di fieno che giungeva dai borghi vicini e quell'odore di grano tagliato, quei chicchi superbi e perfetti, color d'oro che il mulino avrebbe trasformato in finissima polvere, servita nelle tavole nelle occasioni della festa e tramutata in pane, pasta fatta in casa, dolci profumati all'anice.



 Per il mugnaio era un partecipare a quei riti dei paesi vicini, quando sentiva dal suo mulino gli spari per l'uscita della processione significava far parte del mondo che passava da anni sotto le sue finestre sempre aperte in estate, ma che poi andava via, allontanandosi con i carrelli pieni di farina chiara o gialla. Chiunque lavorasse nei campi conosceva quell'uomo dal volto tondo e dagli occhi chiari che silenzioso mandava avanti il lavoro, raccontava aneddoti avvenuti nel bosco, offriva il suo buon vino rosso. Molti uomini che si mettevano in viaggio per far macinare il grano avevano stretto amicizia con l'anziano e spesso al lavoro seguivano pranzi sotto il pergolato, mentre la ruota continuava a tuffarsi in acqua e forse qualche fata del bosco faceva il bagno prima del tramonto tra il muschio acquatico e le ninfee.




 I giorni della mietitura correvano veloci, come ogni anno, ricordati sempre per il soffio intenso e caldo del vento che spettinava le spighe, i papaveri, trasportava il profumo del rosmarino e del basilico dai cortili ai campi e li mescolava con i selvaggi odori di erba nuova e di ortica.



Il giallo ed il rosso dominavano quelle giornate lunghissime, piene di lavoro e di suoni, con le sere passate a macinare finché la luna non raggiungeva la massima altezza ed ogni luogo diveniva chiaro.



In quelle sere dal chiarore che profumava di estate e di eterno, si restava svegli insieme alle lucciole e quei doni di compagnia e di chiacchiere quotidiane con gli umani venivano conservati nell'anima del mugnaio, prima di tornare a ritirarsi in un autunno pieno di foglie da contare e di vino dolce da imbottigliare, dove i soli passi che avrebbe incrociato sarebbero stati quelli di qualche pastore che prevedeva il suo gregge o di un gatto grigio dagli occhi verdi, che, chissà mandato da chi, avrebbe tenuto compagnia all'anziano ascoltando le sue storie accanto al fuoco,mentre fuori la ruota del mulino continuava a tuffarsi, come ogni giorno, nell'acqua ora divenuta gelida.





- Annalisa Ferri .

mercoledì 28 giugno 2017

A un'hostess





Sino ad oggi, vi voglio confessare,
non ho mai voluto volare.
Tuttavia, da quando ho veduto
le hostesses delle linee aeree,
quelle biondine eteree
tutte così belline... Ti saluto!
Non vedo l'ora di prendere l'aeroplano
e volare lontano lontano...
E la paura? Vada in malora!
Con una così dolce compagnia
ogni timore se ne fugge via.

"Hostess, prego, il mio posto"
lei mi conduce e si siede daccosto.
"Pensi, hostess, è la prima volta...
il primo volo... Mi sento tanto solo!"
Lei sorride e mi ascolta.
Le hostesses, bionde signorine eteree
m'infondono coraggio. E mi abbandono
fra cielo e terra... Perchè le hostesses sono
gli angeli azzurri delle linee aeree.

- Madrigale n° 7
da: "Casa Serena" del 1965 -

lunedì 26 giugno 2017

Addio, bambini!

(Daniela - Luna Nera)


                                             DDIO,  bambini, addio!

E' passato ancora un anno di scuola: ormai siete pronti per andare alla classe superiore, ed io ho finito di essere il vostro compagno.
Vi ho parlato di tante cose belle e buone, vi ho insegnato
ciò che non sapevate, vi ho dato tanti saggi consigli.
Che cosa avrei potuto fare di più?
Altri libri, adesso, parleranno al vostro cuore e vi diranno ciò che io non ho potuto dirvi. Voi diventerete grandi, mentre io rimarrò sempre il libro di seconda, pronto a sorridere di nuovo e a ripetere
ciò che voi sapete, ma che i vostri compagni più piccoli ancora non sanno.
Addio, miei cari, abbiamo compiuto il nostro dovere, voi ed io:
lasciamoci, perciò, sorridenti e soddisfatti.


                                                                   Il vostro libro.




domenica 25 giugno 2017

La signora dei campi di grano

(Daniela)

- Un racconto di Annalisa Ferri -



Nel mese di giugno, nei primi giorni ancora tiepidi al mattino, ma infuocati nella tarda mattinata, si ripeteva una vecchia storia, narrata negli anni e quasi divenuta una leggenda da tramandare e sulla quale discutere nei pomeriggi bui e lunghi dell'inverno.
Con la prima luna piena del mese, il grano iniziava ad imbiondire le chiome e nei campi la magia senza tempo si espandeva intorno, portata dal profumo del gelsomino arrampicato alle finestre aperte fino a tardi. Tutto il borgo che viveva l'inizio dell'estate con gioia e fatica, conosceva, avendola narrata di generazione in generazione per tutto l'inverno, la storia dell'anziana signora che camminava nei campi di grano. La donna, della quale nessuno poteva dire con certezza l'età, né il nome, viveva in una casa in pietra circondata da oleandri e gelsomini, con balconcini in ferro battuto che in estate erano pieni di gerani rossissimi, e nel portone grande in legno scuro il gelsomino faceva un arco, ospitando le farfalle notturne per la loro danza e quelle diurne per il sonno.



La signora, che tutti ricordavano vivere lì dalla nascita del borgo, sistemava i fiori, innaffiava al tramonto tutte le piante ed i generosi cespugli delle peonie e delle rose, passava con un tubo lunghissimo tra i vasi del basilico e del rosmarino, della maggiorana e della salvia e tutto il suo cortile insieme al giardino circondato dai ciottoli di fiume, diveniva rifugio di grilli e con quei balconi pieni di fiori rilasciavano il profumo della terra bagnata dopo ore di arido caldo e piccoli insetti uscivano a ballare. Ballavano tra le foglie della vite, le sue foglie erano grandi, come tanti ombrelli aperti sotto il chiaro di luna. La signora invece passava la notte alla finestra, affacciata sotto il luccichio delle stelle, sotto una luna luminosa che allungava le ombre dei pioppi, degli alberi del bosco, della fontana che bisbigliava flebile al volo dei pipistrelli.




 Poco distante dalla casa e dal borgo saliva verso le finestre aperte che sapevano d'estate, l'odore dei campi di grano. Si sentiva un fruscio avvicinarsi, gonfiarsi man mano che le ore passavano, come tante mani grandi che toccassero e facessero ondeggiare le teste delle spighe. La signora chiudeva allora gli occhi: di quelle spighe conosceva ogni chicco, ogni coccinella che coraggiosa nell'afa intensa del meriggio si arrampicava per tutto il fusto, ogni papavero rosso o bianco che sgualcito giocava a nascondino tra quelle spighe alte ogni giorno di più, conosceva i girasoli timidi che guardavano innamorati la luce del sole e la sera a testa bassa non guardavano nessuno. La donna ogni giorno camminava tra il grano, lo accarezzava e si faceva accarezzare.



A volte le spighe pungevano o facevano il solletico alle gambe stanche, altre volte la signora dalla vita aerea, nascosta tra i fusti, preparava agguati bonari alle farfalle estive, inseguiva le rondini che planavano per usufruire dei chicchi, scovava piccoli topolini che portavano il bottino nelle tane, vedeva la fatica delle formiche che in fila religiosa,come in una processione silenziosa, salvifica e devota trasportavano pesantissime provviste al formicaio per l'inverno lontano. Vedeva le nuvole rincorrersi nel cielo azzurro, le vedeva cambiare forma velocemente, trasformarsi, allungarsi, diventare tonde, mentre i passeri volavano sorridendo sui prati di fieno tagliato. La donna restava oltre il tramonto in mezzo al grano, vedeva la scia del sole divenire flebile, sottile, restare imprigionata tra i rami degli alberi più alti del bosco che non volevano mandarla via e la trattenevano ogni sera qualche minuto più a lungo.




 Solo dopo un lungo dimenarsi il sole, tirando forte la propria veste, riusciva a liberarsi da quelle mani verdi e fresche, tese verso il cielo e scappando correva dietro il bosco ed il crepuscolo giungeva danzando a liberare farfalle e profumi, come un bambino che saltella con una scatola aperta gettando ogni volta un po' di coriandoli. Liberava profumi intensi, odore di erba, di acqua buona, di gelsomini, di pioggia lontana, cantava e saltava tra vicoli lasciando che il vecchio mulino a vento soffiasse quegli aromi lontano. Liberava manciate di lucciole che nella notte luccicavano tra i tigli e gli arbusti, tra il ciliegio vecchio e sulla strada bianca che conduceva alla pianta ed al casolare abbandonato.



Solo allora,quando l'aria era fatta di odore, le lucciole coprivano le stelle, la donna tornava a casa, rossa in viso, stanca, quasi come fosse un'ombra lontana. L'ombra si allungava sempre di più, man mano che raggiungeva la porta di casa circondata dal gelsomino, diveniva sottile e leggera e qualcuno giurava, nelle sere vicino al camino acceso, che la sagoma si assottigliava
sempre più, diveniva un filo più scuro che il vento della sera sembrava portare a spasso per le vie del paese nel pieno dell'estate. La storia che da sempre era narrata, si ripeteva ancora ed ogni generazione vedeva e viveva con quella donna anziana che tutti conoscevano come "la signora dei campi di grano", perché li custodiva, teneva loro compagnia ogni giorno metodicamente, finché in una grande festa non venisse il momento della mietitura.



 In quella festa che per tutta la notte si protraeva, la donna ballava e saltellava sotto la luna insieme ai grandi fuochi accesi per festeggiare il prodotto nuovo delle spighe e poi spariva così, tra l'aria profumatissima che il crepuscolo buttava nuovamente in aria a piene mani, come ogni anno, negli anni della vita.



- Annalisa Ferri -

sabato 24 giugno 2017

La notte magica di San Giovanni






A sei mesi dal Natale si celebra la nascita di San Giovanni Battista, l’unico Santo, insieme alla Vergine Maria, di cui si celebra il giorno della nascita terrena (24 giugno), oltre a quello del martirio (29 agosto)
Il sole raggiunge il 23 Giugno il punto più alto: è sapere comune che la notte di San Giovanni è il tempo in cui i pianeti ed i segni zodiacali concorrono a caricare di virtù le pietre e le erbe. E’ una notte magica, la notte dell’impossibile, dei prodigi.”
Nella tradizione popolare di numerose culture, era considerata una notte di “passaggio”, spartiacque tra la fase ascendente e discendente del sole,notte dunque “fuori dal tempo”e perciò aperta al ritorno in terra dei defunti, a presenze di streghe e rappresentanti del regno dell’aldilà…Questa notte legata ad antichi riti solstiziali vede attribuire poteri e virtù ad erbe e fiori raccolti ancora bagnati dalla rugiada, con i quali, ,oltre che seccarli per ogni evenienza, se ne poteva fare un’acqua medicamentosa mettendole in un bacile e tenendole a mollo per tutto il giorno… anche lo stesso grano, per San Giovanni, riceveva benefici, tanto che c’era chi aspettava di mietere dopo appunto ”la guazèda”, la guazzata benefica…
Inoltre si diceva che era consigliabile bagnarsi a lungo con la rugiada mattutina perchè “La guàza ad S. Zvàn la guarèss da ogni malan” ( la guazza di S. Giovanni guarisce da tutti i malanni)."La guàza d' San Zvàn d'instèda"....San Giovanni d'estate: così i vecchi distinguevano la festività di domani,S, Giovanni Battista dall'omonimo S. Giovanni Apostolo, la cui ricorrenza è invece il 27 dicembre.
Pare che la guazza di stanotte faccia miracoli, perciò, chi vuole beneficiarne, deve alzarsi all'alba e camminare a lungo nell'erba bagnata a piedi nudi....
In questa notte tra il 23 ed il 24 giugno alcune erbe raccolte bagnate di rugiada in questa speciale oscurità diventano prodigiose, come: la ruta, celebre per le sue proprietà contro lo stress e l’ansia, tonificante per le arterie e vasi capillari riduce l’infiammazione dell’artrite. L’artemisia, ritenuta erba con poteri anticancro, la salvia usata contro il mal di pancia, la menta, rimedio contro l’influenza, l’iperico – noto anche come “erba di San Giovanni”-, un tempo usato per cicatrizzare le ferite, il rosmarino per contrastare le calvizie, e per ultimo ma non ultimo, il proverbiale aglio: “Chi non prende aglio a San Giovanni, è povero tutto l’anno”.
Le leggende dicono che solo a mezzanotte in punto, una pianta di felce che nasce accanto lungo i ruscelli fiorisca: chi riuscirà a cogliere questo fiore acquisterà la fama di saggio e capacità di leggere il passato e prevedere il futuro.
La notte di San Giovanni è soprattutto una notte che colorata d’Amore: perché il 24 giugno è considerata la data più propizia ai matrimoni, numerosissimi sono i “rituali” di previsione sentimentale che le ragazze prive di fidanzato possono provare a eseguire esattamente a mezzanotte.Altra usanza è raccogliere un cardo e bruciacchiarlo, nasconderlo in una fenditura del muro e la mattina aspettare di vederlo verde e fresco come appena colto, se così sarà vorrà dire che ci si innamorerà felicemente corrisposte entro l’anno.Oppure, prendere un uovo separalo dal rosso prendere l’albume e lasciarlo in un bicchiere sul davanzale della finestra; se, il mattino, si troverà l’albume ricoperta di bollicine, entro poco troveranno un uomo bello, buono e ricco.
La notte di San Giovanni è anche celebre e resa ancor più magica dai suoi mille fuochi, che si accendono in tutta Europa, tradizione antichissima tramandata dai Fenici che adoravano il dio Moloch, citato nell’Antico Testamento venerato di Cananei, nominato nel Levitico e nel libro dei Re. Concludendo con le feste del solstizio si assisteva alla glorificazione dell’acqua, simbolo della fecondità e della purificazione e vede San Giovanni protettore dalle influenze malefiche, assicurando la rinascita della luce.

(dal web)


La tradizione del pane regione per regione




Nell’articolo (di Oliviero Spada) troverete una breve carrellata delle regioni della penisola per illustrare un tipico pane ivi prodotto, e che si discosta dai più conosciuti, per fare questo sono ricorso a un “dizionario del pane” che ho trovato tra gli scaffali della mia biblioteca.

Inizio dalle regioni del sud per terminare in Val d’Aosta.
SARDEGNA. Qui troviamo un pane da semola di grano duro, definito pane artistico per la sua forma, riservato a momenti di festa e riti importanti, è il Coccoi a pitzus, conosciuto anche col nome di, su scetti. Alcune forme sono chiamate: arrosa, cuaddo, pei de boi.
SICILIA. Una pagnotta di forma rotonda, crosta dura di colore scuro a pasta morbida, di antica tradizione, è il Pane nero di Castelvetrano, in provincia di Trapani. È tutelato come presidio di Slow Food. Altro pane tipico è la Mafalda.
CALABRIA. Ecco un pane al sesamo, chiamato Pane con la giuggiulena, nome dialettale dato al sesamo, e prodotto prevalentemente nell'area del reggino.
PUGLIA. Dire Puglia è affermare Pane di Altamura a denominazione di origine protetta. Questo pane si presenta sotto due tipiche forme dette “pane accavallato” e “a cappello di prete”, ed evidenzia una bella crosta dorata. Il grano è coltivato nei territori dei comuni della Murgia.
BASILICATA. Da un antico sistema di lavorazione risalente al Regno di Napoli, si ottiene il Pane di Matera I.G.P. Si presenta a forma di cornetto, soprattutto quello prodotto nelle fornerie di Matera.
CAMPANIA. Nel salernitano, precisamente a Padula, si produce il pane di Padula, casereccio e da una conservazione che può arrivare ai quindici giorni. Ogni pagnotta raggiunge il peso di circa due chili, è di forma rotonda dove, prima della cottura, sono fatti quattro tagli, che ricordano il pane dei Romani.
ABRUZZO. Per questo pane si deve usare la farina ricavata dal grano dell’abruzzese Senatore Cappelli, varietà antica coltivata nel meridione, che produce una farina tenace e una mollica elastica e morbida.
LAZIO. Un altro I.G.P. è il Pane di Gerenzano, comune in provincia di Roma. Lavorato in pagnotte o filoni che poi sono collocati in casse di legno con teli di canapa e spolverato con cruschello.
UMBRIA. Terra ricca di tradizioni culinarie, presenta il Pan Nociato, o Pan Caciato diffuso in tutta la regione, è un piccolo panino, consumato soprattutto nella città di Todi e nel perugino.
MARCHE. Molto simile a una focaccia, bianca o con cipolla e rosmarino, è la Crescia maceratese, di forma piatta, rotonda o ovoidale. E’ stata creata un’Accademia della Crescia.
TOSCANA. È un pane “poco malleabile” e panificato con farina di castagne, grano e patate, è il Marocca di Casola. È un presidio Slow Food.
EMILIA ROMAGNA. La Piadina lascia il posto al Pane di Zucca, prodotto soprattutto nel mantovano, a base di farina e zucche lessate. Il gusto assapora di dolce. Pane molto rinfrescante e dalle proprietà diuretiche.
FRIULI VENEZIA GIULIA. Pane dolce e speziato, preparato soprattutto per le feste natalizie, è il Pan di Mais, detto Pan di Sorc. Di forma rotonda, scura e fragrante.
Pan biscotto, ritenuto pane di riserva dei contadini, grazie a una conservabilità piuttosto lunga.
TRENTINO ALTO ADIGE. Terra piena di sorprese, come il Pan de Molche, dove, all’impasto di farina integrale venivano uniti i residui solidi delle olive. Il suo coloro è scuro, ed è un pane molto nutriente.
LOMBARDIA. Terra piena di sapori, tra cui una focaccia di Felonica, comune mantovano, dal nome Tiròt di Felonica. Prodotto della tradizione contadina ha forma rettangolare.
LIGURIA. Pane nero di Pigna, a forma tonda o quadrata, crosta di colore marrone, morbido e gradevole al palato.
PIEMONTE. Sono d’obbligo i Grissini stirati, derivati dalla “grissia”, un pane molto antico. La pasta, tagliata in listelli, è stirata manualmente sino a una lunghezza di un metro e mezzo.
VALLE D’AOSTA. Pan Miasca è una cialda salata, non lievitata, di forma tonda o quadrata, molto presente nelle Alpi.

Dopo questa carrellata, non può non venire la voglia di un buon pezzo di pane.





- Oliviero Spada -

da:  https://www.milanofree.it/



venerdì 23 giugno 2017

Tra le spighe

(Daniela - Luna Nera)



Il grano biondo sussurrava al vento.
Qualche fior rosso, qualche fior celeste,
tra i gambi secchi sorridea contento.

Pendeano li agli e le cipolle in reste.

S'udian, mutata alfin la voce in gola,
cantar galletti, altieri delle creste.

Tessea le spighe dello spigo a spola
la cara madre, per i suoi rotelli
del banco grande e per le sue lenzuola.

Fioria la zucca, arsivano i piselli,
nell'orto. Le ciliege erano andate:
per San Giovanni avevano i giannelli.

C'erano già le mele dell'estate,
c'erano le susine di San Pietro.
Fatte via via più lunghe le giornate,
il sole, stanco, ritornava indietro.



E biondo al vento mormorava il grano.
Fiorivano le snelle spadacciole
tra i gambi gialli; e non sapean, che in vano.

C'era un bisbiglio come di parole.
E l'intendea la lodola che in tanto
aveva lì la giovinetta prole.

Tardi avea fatto il nido, lì da un canto.
Oh! ella amava il sole più che il nido!
Chissà? voleva far lassù, col canto!

Or sui piccini udiva già lo strido
della falciola; e li ammonìa di stare
accovacciati senza dare un grido.

Diceva: - Chiotte, contro terra, o care!
che non si mova un bruscolo, uno stelo!
V'ho fatte color terra: altro non pare,
così, che terra, o nate per il cielo! -


E il grano al vento strepitava; e disse
il padre al figlio: "Mieteremo. Vedi:
verdino è, sì, ma non vorrei patisse.

Ché il grano dice: - Io sto ritto, e tu siedi.
Qui temo l'acqua, e il vento mi dà briga.
Altronde, o presto o tardi, o steso o in piedi,
se il gambo è secco seccherà la spiga -".


- Giovanni Pascoli -


giovedì 22 giugno 2017

Triora


(Daniela)




Oggi vi faccio conoscere uno dei borghi più belli e misteriosi che io abbia mai visitato, si trova in Liguria, la mia terra.




Inoltrandosi nella provincia di Imperia, lungo la statale 548 della valle Argentina, si trovano le indicazioni per raggiungere il piccolo borgo di TRIORA a 780 mt. s.l.m., annoverato tra i più belli d'Italia. Per arrivare percorriamo circa 40 km di curve, su una strada molto stretta che costeggia la valle: lo strapiombo sotto di noi è notevole, ma la vista di cui godiamo è mozzafiato. Sembra quasi impossibile che proprio in quelle zone, dove la quiete verde smeraldo dei boschi incontra la serenità azzurra del cielo, si sia sviluppata una delle più orrende persecuzioni nei confronti di presunte streghe, più di un secolo prima della follia di Salem (1691). Nel 1587, a seguito di una carestia che perdurava quasi da due anni, si cominciò a sussurrare di streghe e fattucchiere o meglio, di baggiure e foitureire (come riportano i documenti di quel tempo) e da lì a poco s'innestò una vera e propria caccia che causò numerose vittime.





Il nome Triora deriva dal latino "Tria Ora" (tre bocche) ed infatti lo stemma cittadino è Cerbero, il cane infernale, con le sue tre teste... In realtà, il riferimento dovrebbe riguardare i tre fiumi che confluiscono sul territorio oppure i tre alimenti su cui in passato si basava l'economia e cioè grano, vite e castagna.



Il principale prodotto del luogo è il pane, nella sua caratteristica forma rotonda e fatto con farina di tipo 1 (di crusca). Molto apprezzati i formaggi d'alpeggio, tra i quali spicca il "Bruzzo", uno dei più antichi dell'Alta Valle Argentina: ottenuto dalla fermentazione naturale della ricotta, ha un sapore leggermente piccante, è un ottimo condimento per la pasta e si sposa molto bene con il pane e il pomodoro fresco. Il territorio dona anche castagne, miele e funghi, principalmente porcini.







Se vi recate a Triora non potete non visitare la "Cabotina". L’umile casolare della Cabotina e la sua prospiciente aia sono da sempre considerate, nella memoria popolare, dimora abituale delle streghe. Qui le bàgiue preparavano i loro allucinanti intrugli, le pozioni di erbe magiche come la belladonna, il giusquiamo e lo stramonio, sotto i cui deleteri effetti si abbandonavano a osceni balli e ad orge sfrenate. Presso la Cabotina le streghe si trastullavano con le colleghe molinesi palleggiandosi bimbi in fasce, trafugati alle madri che incautamente li avevano lasciati al di fuori delle mura dopo il suono dell’Ave Maria.



Vedendone i ruderi non si può fare a meno di pensare a cosa succedeva lì dentro, al motivo che spingeva ragazze e donne di Triora a recarsi lì dopo l'Ave Maria o a notte inoltrata. Credo che la Ca' Botina sia ancora impregnata dall'energia psico-magnetica delle vittime della persecuzione... Come se il terrore provato, l'assoluta mancanza di speranza avvertita fossero ancora lì.

Ed è indubbia la sensazione di disagio che avvolge come una densa bruma quando si transita davanti a quelle vecchie mura, all'imbrunire.











Particolarmente perfide diventavano quando si innamoravano: tramutatesi in zucche, attendevano che i giovani le recidessero portando a casa l’ostaggio, e davano così inizio ad un autentico incubo, che invariabilmente si concludeva con la pazzia o il suicidio.  Quando si pensa alle streghe si immaginano cose brutte: il naso aquilino, lo sguardo truce, difetti. Ma lo stereotipo consegnatoci dalla tradizione e dai racconti popolari, tenuto vivo dai mass media e dalla letteratura infantile, è quanto mai errato: le streghe erano e sono donne normali, spesso molto belle, e in alcuni casi affascinanti. A loro sono state attribuite le più disparate colpe e le più efferate nefandezze. In realtà molto spesso il loro potere era benefico. Il loro sapere nel campo della medicina, la profonda conoscenza delle erbe e la loro dimestichezza con i fasci nervosi faceva si che si sostituissero egregiamente ai medici dell’epoca.























Un'altra meraviglia a Triora sono i portali, da quello gotico (sec. XII) della Collegiata, a quelli dei palazzotti nobili, con i simboli delle casate discalpellati nel periodo post-rivoluzionario francese, con le architravi scolpite, i marmi abrasi, i bassorilievi su pietra nera o ardesia, e le sculture più affascinanti: agnelli mistici, monogrammi di Gesù, Annunciazioni, stemmi, addirittura, in una sovrapporta, un vegliardo con barba e, sul muro della parrocchia, un frate che tiene fra le dita della mano occhiali a molla. E' tutto un occhieggiare di segni del passato, di presenze sparite, di blasoni distrutti, di passi antichi che risuonano sul selciato di pietre levigate dall'uso.









Visitando Triora potete percorrere il "Sentiero delle Streghe", per una passeggiata gradevole priva di difficoltà, quindi per grandi e piccini. Il luogo è ancora oggi circondato da una fitta boscaglia a strapiombo percorribile grazie a un piccolo sentiero, lo stesso che una volta le streghe percorrevano per raggiungere la Cabotina.



Da visitare:

Il Museo Etnografico e della Stregoneria di Triora dedica al paese e al processo alle streghe tre piani: subito, all’ingresso, quattro sale dedicate al territorio di Triora, dove particolarmente interessante è la sezione dedicata all’Arte e all’Artigianato locale; scendendo di un piano si trova il Museo Etnografico, suddiviso in cinque cicli, in cui ha spiccato, per la cura particolare, la ricostruzione di un’antica cucina rustica. Infine, scendendo ancora di un piano, si giunge nei sotterranei, non senza provare inevitabilmente un reverenziale timore e una sorta di insito batticuore: qui si trovano tre sale dedicate alla stregoneria, nelle quali sono sapientemente ricostruite le prigioni, e dove sono conservati gli strumenti di tortura e soprattutto tutti i documenti storici..


Da vedere infine le fontane tagliate nella pietra viva e i ruderi dell'antico Castello costruito dai Genovesi nel sec. XIII per la difesa dei propri confini.



(VIDEO)



Il paese conserva il suo patrimonio architettonico ed è estremamente facile lasciarsi rapire dalla magia che trasuda dalle mura delle case e che ancora si respira passeggiando negli stretti vicoli che lo caratterizzano: impossibile non farsi ammaliare, soprattutto perchè legato al misterioso mondo della stregoneria e della caccia alle streghe.









(Grotta della Madonna di Lourdes a Triora)


Se visitate questo magico borgo troverete ovunque curiosi cartelli e insegne:



























Visitando il borgo potrete essere catapultati in un mondo lugubre e magico allo stesso tempo, troverete notizie sui presunti "fantasmi" del luogo... Qui si narrano le storie di Isabò la strega, il fantasma errante di Battistina e altri ancora. Triora è il Paese del Tramonto, un luogo popolato da spiriti, antichi dei e streghe che sono stati lasciati a vegliare sull'antico borgo per proteggere coloro che ancora vi abitano...







Non dimenticate di acquistare una streghetta o un piccolo souvenir del luogo come portafortuna.




...E anche quest'anno, come sempre dal 31 ottobre al 2 novembre, il paese dell'entroterra si animerà con mercatini, musica, danze e giochi magici tutti dedicati alla festa di Halloween.



(VIDEO)

(Immagini e notizie dal web)



Un aneddoto personale.  😓



Quando qualche anno fa visitai Triora mi addentrai nel tardo pomeriggio estivo in un vicolo molto buio, simile a questo:



Il silenzio di quel posto era irreale.
Mio marito si allontanò da me per vedere dove conduceva quel vicolo, e sparì dietro una stretta curva. Mi guardai attorno. Nessuno. Quasi subito udii un rumore ben distinto: qualcuno stava scrivendo a macchina battendo forte sui tasti, fermandosi per breve tempo e riprendere subito dopo. Possibile? Beh, le case c'erano, ma... Alzai gli occhi dove proveniva il rumore: la finestra sgangherata della casa era aperta per metà, e il vento faceva volare fuori una tenda a brandelli annerita dal tempo....
Non era suggestione, il rumore era reale, anche se il posto poteva far pensare ad allucinazioni.
Iniziai ad avere paura. Chiamai mio marito dapprima con voce tremula, nessuna risposta. Allora iniziai a chiamare più forte. Finalmente spuntò. "Che succede?" mi disse; "Scappiamo da qui, qualcuno scrive a macchina qui sopra di noi".... Lui alzò lo sguardo e rise: "Ma dai, la casa sarà disabitata da secoli, hai visto la tendina poi?".
"Ho visto bene, ma scappiamo lo stesso"
Qualcuno (ma non del posto) poi  mi disse che "forse" venivano creati rumori per i turisti con dei registratori...
Io lo spero ardentemente, ma nel frattempo, da anni, forse sto ancora correndo....