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sabato 30 settembre 2017

L'incontro

(Daniela - Luna nera)

Esistono ancora incontri così? Io ne sono certa.
Una bellissima poesia d'Amore.





Quel giorno i nostri cuori
battevano come una grancassa,
interminabili minuti di attesa,
poi, il desiderato abbraccio.
Ci travolgemmo come uno tsunami
senza curarci dei passanti,
mi guardasti diritto negli occhi e
mi dicesti alcune parole,
che non dimenticherò mai,
anima mia.
Le mie mani toccavano ovunque,
per capire se eri vera.
I nostri occhi erano lucidi per l’immensa gioia,
non riuscivamo a trattenere le emozioni.
Tu, piccola grande donna,
hai fatto avverare il nostro sogno,
questo sogno lo custodisco
amorevolmente nel mio cuore,
ma soprattutto,
lo voglio vivere giorno dopo giorno,
fino alla fine dei miei giorni.


- Giacomo Brugnano –




(La poesia dalla voce di Vanni Olivero)

mercoledì 27 settembre 2017

La filastrocca del vino

(Daniela)



Dalla pergola nasce l’uva: 
prima è acerba, poi matura. 
La raccoglie il contadino 
e la schiaccia dentro il tino. 
Bolle il mosto giorno e notte 
poi finisce nella botte. 
Nella botte si riposa 
finché è un vino color rosa. 
Dopo tante settimane 
va a riempir le damigiane, 
ma lì dentro non vuol stare: 
ora è pronto da infiascare. 
Per la festa di famiglia 
passa poi nella bottiglia: 
nei bicchieri viene versato 
e da tutti ben gustato. 


- A. Fasser -


martedì 26 settembre 2017

La foglia

(Daniela)






Dicono che d'autunno
tutto intristisce e muore.
Anche la bella foglia
ha mutato colore.
Ha chiesto l'oro al sole
e s'è vestita a festa.
Non dite che d'autunno
la campagna è più mesta.
Il vento s'avvicina
sorpreso, e par che dica:
lo non ti riconosco:
sei tu, mia verde amica?
Dice l'amica al vento:
Ho mutato colore:
stanca d'essere foglia
son diventata fiore”

- Milly Dandolo -



lunedì 25 settembre 2017

La scuola

(Daniela - Luna Nera)






Vado a scuola, vedo amici,
gioco, parlo, imparo, rido,
più si è, più si è felici:
degli amici io mi fido.
La maestra ha bei capelli,
è un’amica un po’ più grande:
lei ci insegna ritornelli,
lei risponde alle domande.
Vado a scuola, vedo cose,
le disegno con colori,
sento storie misteriose,
e alla fine torno fuori.

- Roberto Piumini -


domenica 24 settembre 2017

Il timo



(Daniela)






Un’erba che tutti conoscono, utilizzata anche in molte ricette, è il timo. Questa pianta dà un tocco speciale al nostro cibo, lasciando un sapore gradevole.

Tuttavia, il timo ha molte altre proprietà che possono essere sfruttate. In questo articolo parleremo di alcune proprietà e come utilizzarle. Quest’erba appartiene alla famiglia della menta, quindi ha un aroma molto forte.

Per questo motivo, non sarà difficile percepire il suo odore. Ma il timo è benefico anche per la nostra salute. Ha proprietà antibatteriche. Se volete imparare ad utilizzarlo bene, prestate attenzione alle seguenti informazioni.
Oggigiorno sono molte le malattie che devono affrontare gli esseri umani. Con l’aumento dell’inquinamento, ne sono arrivate anche di nuove. Per combatterle, abbiamo diversi tipi di farmaci. Tuttavia, la maggior parte di loro portano effetti collaterali molto spiacevoli. Per questo motivo, molti preferiscono cercare alternative naturali.
Quindi, in questi ultimi anni, le persone stanno tornando alla medicina naturale e questo, in aggiunta alla volontà di guarire, aiuta moltissimo, non causando poi alcun effetto collaterale, né danneggiando la vostra salute. Inoltre, gli ingredienti sono molto accessibili e convenienti, in modo da non spendere troppo denaro. Sono tantissimi i benefici che si possono ottenere solo dal consumo del timo e ve ne prestiamo alcuni.


Benefici del timo

Il Timo ha molte proprietà che lo rendono indispensabile per la nostra salute. Tra questi possiamo evidenziare le seguenti:
Antisettico, antivirale, elimina le tossine, rafforza il sistema immunitario, aumenta la resistenza a organismi estranei, disinfetta il corpo e ha proprietà espettoranti .

Tra i vantaggi del timo, possiamo citare i seguenti:

Combattete le infezioni respiratorie in quanto disinfetta i polmoni, combatte il mal di gola, tratta l’asma, bronchite, laringite, l’infezione del naso e tosse.

Riduce debolezze fisiche e psicologiche :
tra queste debolezze ci sono la depressione e stanchezza cronica.
Migliora anche la concentrazione, aumenta la memoria, riequilibra la mente e fa ritrovare forza al malato.

Antisettico: con esso possiamo trattare il fungo del chiodo, parassiti, candidosi e vaginite.
Combatte le infezioni del tratto urinario e della vescica.
Per quanto riguarda i muscoli, allevia il dolore muscolare, lesioni sportive e artrite.
Possiamo utilizzarlo come un tonico per capelli o per curare l’acne e le verruche. Infine, esso funziona come repellente per insetti.

Tè al timo.


Come già accennato , il timo è molto buono per alleviare varie malattie . Alcune di queste sono: influenza, raffreddore, mal di gola e tosse.

Ciò di cui abbiamo bisogno:

Timo.
Acqua.

Preparazione e utilizzo:
Per preparare questa infusione, mettete a riscaldare un po’ d’acqua. Quando raggiunge il punto di ebollizione, prendete il timo sufficiente per la quantità di acqua desiderata. Dopo averla bollita basterà far riposare la sostanza per 10 minuti. Infine, filtrate il composto e bevetelo subito.

Controindicazioni:

Il Timo può essere tossico se consumato in dosi esagerate. Inoltre, il suo olio essenziale, è vietato per le donne incinte . Le persone che hanno ulcere o problemi cardiaci dovrebbero evitare di bere alcolici. Il timo ha un alto livello di timolo, così un uso costante potrebbe generare ipertiroidismo o intossicazione.
Anche se il timo è un rimedio a base di erbe molto buono, non dobbiamo sottovalutare il parere di un esperto. Pertanto, prima di iniziare questo trattamento, consultare il medico. In questo modo, faremo le cose come si devono e non correremo rischi inutili.

sabato 23 settembre 2017

La leggenda dell’autunno

(Daniela Pecorari Bonfiglio - Luna Nera)


Questa bellissima leggenda spiega l'origine dei colori variopinti delle foglie in autunno...




Tanto tempo fa un grande bosco era popolato da fiori, alberi, animali e folletti che giocavano insieme gioiosi, felici di assaporare il caldo dell’estate all'ombra del bosco.

Passeggiando tra gli alberi era anche possibile sentire qualche risatina di qualche folletto irriverente che non aveva paura di mostrarsi, ma col passare dei giorni il sole era sempre più basso all'orizzonte, e il caldo non era più così insopportabile, le ombre si allungavano e il buio arrivava sempre prima.


Tutti nel bosco sapevano che era giunto il periodo in cui si doveva smettere di giocare e trastullarsi, e di cominciare a fare provviste e prepararsi per il lungo e freddo inverno.
Gli animali si preparavano le tane e le riserve di cibo per il letargo, i folletti raccoglievano la legna e riempivano le dispense e gli uccellini si radunavano per organizzare il loro lungo volo verso le terre calde e ricche di cibo del sud.

Il fermento era tanto ma ogni tanto qualcuno si fermava a ripensare all’estate e ai giochi, sapendo che stavano per entrare nella stagione fredda e che non sarebbero potuti uscire per molto tempo.
Fra tutti questi folletti che correvano a destra e a sinistra con fascine di legna e provviste, c’era Timoty che pativa particolarmente questo periodo e lo rattristava al punto che cercava in tutti i modi di scacciare la tristezza, tanto che decise di organizzare una grande festa per salutare l’estate.
Corse subito ad avvisare gli altri folletti che trovarono l’idea di Timoty davvero interessante e tutti insieme si misero a colorare le foglie degli alberi con colori vivaci come il rosso e il giallo, cantando e gioendo ancora una volta tutti insieme.
C’era però qualcuno che che era titubante perchè aveva paura che gli alberi si potessero arrabbiare, erano sempre così seri, controllavano tutto dall'alto dei loro rami e sembrava che non ridessero mai…

Però l’entusiasmo del folletto non si ridusse ed escogitò di colorare gli alberi di notte, in modo che non si accorgessero di nulla.
Così quella notte tutti i folletti salirono sui rami e colorarono le foglie di tanti colori: giallo, arancione, rosso, marrone, chiare, scure e ne lasciarono qualcuna verde. Al mattino, quando il sole illuminò il bosco, lo spettacolo era meraviglioso, anche gli alberi erano senza parole.
La festa fu un successone, tutti nel bosco si entusiasmarono davanti a quello spettacolo di colori, risero e cantarono tutto il giorno fino alla sera quando i folletti dissero agli alberi che erano pronti a ridipingere le foglie di verde come prima.
Fu il grande castagno, il re del bosco, che chiese ai folletti di lasciarle così colorate, che erano bellissime e che non si erano mai divertiti tanto come in quel giorno, e che comunque da li a poco le foglie sarebbero cadute per l’inverno.
E così da allora ogni anno prima che l’inverno rubi le foglie agli alberi, i folletti le colorano di queste tonalità meravigliose, un modo per vestire il grande bosco a festa!


- testo da:  http://www.favolefantasia.com/ -

venerdì 22 settembre 2017

La prima pioggia

(Daniela)




Scendon le gocce della prima pioggia
che sui selciati ancor timida batte,
mentre settembre lietamente sfoggia
l'ardire delle sue bacche scarlatte.
E' dolce il chiacchierìo di tante foglie
in capannelli sugli alberi spessi
come quello che fan sopra le soglie
le comari che parlan d'interessi.
E invece tante foglie chiacchierine
parlano dell'autunno che ritorna
e che, sotto la pioggia fine fine,
di pampini e di bacche agile s'orna.


- Marino Moretti -


giovedì 21 settembre 2017

L'Autunno

(Daniela - Luna Nera)



Io vidi una mattina
l’autunno camminare.
Aveva nella mano
tre goccioline di brina,
nel cesto un venticello
per sollevar le foglie.

Portava per mantello
un grigio nuvolone
e andava lento lento
curvo sul suo bastone.





- J. Renard -


mercoledì 20 settembre 2017

La vecchina dei funghi



(Daniela - Luna Nera)




Una leggenda della Val Camonica narra che tra la fine dell'estate e l'autunno, sulle montagne di Angolo Terme (BS), si aggira per i boschi una vecchietta, la strega Mandola. Qualcuno la vedeva entrare in azione con dei folletti al seguito che, a un suo comando, spargevano nei boschi una polverina magica da cui spuntavano all'istante grandi funghi porcini confusi però fra funghi velenosi identici. Tutta la popolazione maligna si riuniva ai piedi del monte Tonale, dove si svolgevano i sabba. Incontri notturni che generarono leggende e fantasticherie, tutte nefaste, tanto che i pellegrini che in quei secoli dovevano valicare il passo, si guardavano bene dal mettersi in viaggio durante le ore tarde del pomeriggio, preferendo pernottare in qualche locanda.

- dal web -





martedì 19 settembre 2017

L'ultima sera d'estate

(Daniela - Luna Nera)

- da un racconto di Annalisa Ferri -



Era mite la sera allungata tranquilla sul borgo e sulla valle, rischiarati in lontananza da un celeste timido, che si nascondeva con gli occhi bassi dietro le fronde dei pioppi e dei faggi. Nelle vie strette e già deserte si sentiva vibrare il canto di un grillo, che sperava ancora di trovare l'amore della vita, in una sera dalla luna piena che tra qualche nuvola faceva spazio alla sua tonda faccia gialla. Volò veloce nel primo profumo dolce di uva, l'ennesima estate del piccolo paese arroccato sul colle coperto di gelsomini: volò rapida tra l'arrivo delle rondini, che ora cinguettavano per decidere la partenza; volò mentre i fuochi d'artificio illuminavano la piazza al rientro della processione del patrono; sparì rapida nel caldo afoso dei pomeriggi di agosto in cui impazziva il canto d'amore delle cicale.



Insieme alle ultime ombre allungate scivolavano via le stelle cadenti viste dagli innamorati distesi sui campi di fieno tagliato, tenendosi la mano, in mezzo ai grilli ed al profumo di campagna, e scivolavano i tonfi nella fontana dei bambini dopo l'ora di pranzo, dove cercavano il fresco e un gioco senza mai fine.
L'estate dura dei campi se ne andava via restando ancora per un po' imprigionata nei ricordi del cuore di chi non voleva lasciarla andare, restava nei giochi del nascondino dei ragazzi sotto la rocca del paese, in cui le case avevano i vasi pieni di gerbere e garofani,




restava nelle corse dei bambini che inseguivano le prime lucciole a giugno, quando nel seguire quelle luci piccole ed intermittenti ognuno sognava la sua estate: quella giusta per amare, per nascere, per morire, per ballare, per avere un segreto da custodire per la vita, per rinascere nel cuore. Ed ora, che quei mesi erano imprigionati nei grappoli d'uva bianca e nera pendenti nelle vigne e negli orti, ciascuno custodiva nel cuore la volontà che quei mesi ricominciassero, che si sentisse ancora come la prima sera l'odore del fieno di giugno che si alzava al lungo tramonto del sole, e con stupore veniva ascoltato tra i grilli e le stelle delle luminose notti d'estate.



Era rimasta così l'estate degli sguardi silenziosi, degli incontri fortuiti d'amore sotto le magnolie aperte, la notte del cuore senza confini, la notte che pareva non voler mai far spazio al giorno. Nell'eco del grillo che solitario cantava si perdeva l'estate delle marmellate e delle conserve e poi dei pomeriggi passati a cucire cantando a più voci canzoni sentite da bambini, si perdeva l'estate del primo bacio e del primo figlio, si perdeva il giorno lungo sotto al pergolato ed il profumo intenso dell'ultima rosa sbocciata.




In mezzo al mite profumo di bosco che ancora persisteva tra i rami leggeri erano aperti gli occhi che guardavano dalla finestra del casolare immerso tra i ciliegi e quell'aria d'estate entrava ed usciva dalle pupille nere, con le immagini fisse nel cuore che il tempo faceva invece scorrere impietoso. Restava nei ricordi di foto antiche, di un matrimonio negli ultimi giorni di luglio, di una messa all'aperto nel campo degli ulivi tra il volo delle rondini, il libro dell'estate che andava via, senza distogliere gli occhi da ciò che fu e che ogni anno ciascun uomo e donna del borgo speravano: e fu un arrotolarsi a ritroso di baci e di occhi, di mani antiche e fiori appena sbocciati, di piazze in festa e segreti sussurrati da dietro la tendina, di timidi sorrisi ed attese lunghissime sotto la luna piena e le rose ancora aperte, di corse tra le spighe dei campi di grano ed il traballare della statua del patrono, tra i balli in piazza ed il ricamo dei merletti.



Uno di questi, che ritraeva le rondini che volavano sopra le spighe, era posto su un tavolo davanti ad una grande finestra: e la donna che vi abitava lo poneva sempre all'inizio dell'estate per ritirarlo al canto dell'ultimo grillo. Quel lungo centrino era l'intreccio di giorni e sguardi, di battiti di cuore e di ali, di speranza e paura. E solo quando il grillo, trovata la sua compagna, smise di cantare, la donna guardò il ramo ormai silenzioso e vuoto e ripose quel merletto. Pronta a tenerlo nel cuore sperando ed aspettando di nuovo la prossima estate.






- Annalisa Ferri -


lunedì 18 settembre 2017

Grappa a settembre



(Daniela)





I mattini trascorrono chiari e deserti
sulle rive del fiume, che all’alba s’annebbia
e incupisce il suo verde, in attesa del sole.
Il tabacco, che vendono nell’ultima casa
ancor umida, all’orlo dei prati, ha un colore
quasi nero e un sapore sugoso: vapora azzurrino.
Tengon anche la grappa, colore dell’acqua.

È venuto un momento che tutto si ferma
e matura. Le piante lontano stan chete:
sono fatte più scure. Nascondono frutti
che a una scossa cadrebbero. Le nuvole sparse
hanno polpe mature. Lontano, sui corsi,
ogni casa matura al tepore del cielo.

Non si vede a quest’ora che donne. Le donne non fumano
e non bevono, sanno soltanto fermarsi nel sole
e riceverlo tiepido addosso, come fossero frutta.
L’aria, cruda di nebbia, si beve a sorsate
come grappa, ogni cosa vi esala un sapore.
Anche l’acqua del fiume ha bevuto le rive
e le macera al fondo, nel cielo. Le strade
sono come le donne, maturano ferme.

A quest’ora ciascuno dovrebbe fermarsi
per la strada e guardare come tutto maturi.
C’è persino una brezza, che non smuove le nubi,
ma che basta a dirigere il fumo azzurrino
senza romperlo: è un nuovo sapore che passa.
E il tabacco va intinto di grappa. È così che le donne
non saranno le sole a godere il mattino.


- Cesare Pavese -



sabato 16 settembre 2017

Il fazzoletto ricamato di viole

(Un racconto di Annalisa Ferri)





Le case in pietra del borgo iniziavano a svegliarsi tra una sottile nebbiolina dorata, in mezzo alla rugiada gentile posata sui prati e sugli orti. Le grandi persiane scure si aprivano al canto del gallo dopo l'alzarsi del sole e vi lasciavano entrare le grida di gioia delle rondini che annunciavano l'arrivo del giorno nuovo. Il bosco si tingeva d'oro e si perdeva in un timido saluto alle stelle che sparivano una dopo l'altra. Tra le vie silenziose ed ancora addormentate, sotto i nidi delle rondini, passava un anziano sulla sua bicicletta, lentamente cigolando ad ogni pedalata. Nel taschino della giacca che sempre aveva poggiata sulle spalle, sia in autunno quando completava la vendemmia, che in estate quando col sole che scendeva dietro la valle tornava a casa, spuntava un fazzoletto bianco, con un merletto intorno ed in un angolo ricamate tre viole.



Da quel piccolo quadrato di stoffa antica non si separava mai, nemmeno nelle occasioni della festa in inverno: lo lasciava asciugare al sole mite di febbraio, oppure sotto quello forte di luglio, dormiva con lui sul comodino e lo metteva poi nel taschino e lo seguiva ovunque andasse. Tutti nel paese chiamavano l'anziano "l'uomo dal fazzoletto di viole", quando passava sulla sua bicicletta oppure quando la sera tornava a casa sotto le stelle e le cascate delle magnolie. In pochi conoscevano la storia di quell'uomo buono, dal volto malinconico, dai grandi occhi neri provato negli anni dal cocente sole di lunghe estati e tutti nel vederlo pregare in chiesa inginocchiato davanti alla statua della Vergine, comprendevano un dolore nel suo cuore.



Nei sussurri delle preghiere pronunciate ad occhi chiusi, c'era l'eco lontana del canto delle mietitrici una mattina di inizio luglio in mezzo ad un campo inondato d'oro e di papaveri. In quelle giornate lunghissime, piene di fatica e di lavoro, si perdeva il sorriso di uno sguardo antico, di un riso dolce e di timidi occhi che veloci si abbassavano, di corse tra le spighe di grano, di bagni veloci nel torrente quando le ore caldissime lasciavano spazio solo alle cicale impazzite che urlavano al cielo dai tigli e dai faggi. Nel sussurro che l'anziano ripeteva in chiesa c'era lo sguardo forse troppo profondo di un giorno di luglio, in cui non parlò l'uomo ma parlò il cielo, in cui in quel canto di lavoro riconobbe quella voce, la sentì staccarsi dalle altre, volare fino a lui come se fosse un assolo in mezzo alla valle. La vide voltarsi con il suo sorriso ed i capelli neri lunghissimi ed allora sembrò che cantasse solo lei per lui e che le cicale cessassero il loro canto, il vento muovesse solo il vestito di lei, il grano non ballasse più ondeggiando le spighe, il cielo da azzurro divenisse dorato in mezzo all'oro dei campi.
Non finì mai quell'istante lontano ed ancora nei campi l'anziano sente quella voce sovrastare le altre, vede quegli occhi rimasti giovani e quel sorriso timido entrare nei suoi occhi lentamente e distendersi nell'iride restandovi per sempre. Negli ultimi giorni della mietitura quel sorriso stanco provato dal caldo sembrava non spegnersi mai, ma restare intrappolato nelle parole cantate al cielo, sotto il volo delle rondini che a volte annunciavano i temporali nei borghi vicini. Fu una sera dal tramonto rosso, in cui i campi erano arancioni che quel sorriso si avvicinò ed esplose tornando a far muovere il grano, le fronde verdi, più rapida sembrava scorrere l'acqua della fontana di pietra. Quegli occhi femminei neri tesero alle mani stanche un fazzoletto profumato di lavanda, ricamato nelle prime mattine buone di aprile, con un merletto intorno e tre viole colore lillà ricamate in un angolo.



Lungamente quel sorriso restò fisso davanti agli occhi allora giovani dell'anziano ora inginocchiato davanti alla Vergine, prima di sparire correndo tra le spighe e i girasoli che guardavano il sole scendere dietro le montagne ed abbassando il capo non videro quella corsa a due in mezzo al grano, tra i rotoli alti del fieno, mai conclusa. Nelle preghiere e nel sussurro dell'anziano, c'è ancora quella corsa, ci sono quegli occhi grandissimi che si voltano a guardare, c'è il canto ed il sorriso tra i papaveri gentili, vi è il ricamo del fazzoletto che sempre esce dal taschino sinistro e torna ogni sera nel cuore.


- Annalisa Ferri -


venerdì 15 settembre 2017

La pioggia parla

(Daniela - Luna Nera)







Parla la pioggia
talvolta 
un parlottare fitto fitto
talaltra 
un sommesso brusio
parla di mari
fiumi
torrenti
parla di nubi
vento
nebbia
rugiada
parla la pioggia
e
le cose
rispondono…
in silenzio.


- Terenzio Formenti -


giovedì 14 settembre 2017

Tornano


(Daniela)




Oggi la scuola ha riaperto le sue finestre al sole ed ha chiamato i bimbi. Den, den, den...
Gli scolaretti conoscono la strada, conoscono la scuola.
Li accoglie sull'uscio la maestra.
- Buongiorno, bambini. Bentornati a scuola.
- Buongiorno, signora maestra.
Ecco l'aula di seconda: i banchi sono più alti, la lavagna è più grande. Tutto è bello, tutto è pulito.
La maestra sorride e...

NON BASTA

Non basta fare i compiti, studiare le lezioni, venire a scuola allegramente ogni mattina. Ciò che sopra tutto dovete imparare è volervi bene, aiutarvi, perdonarvi l'uno con l'altro e considerarvi, ora e sempre, come tanti e buoni fratellini.


- HEDDA -

(dal libro scolastico "Incantesimo")

mercoledì 13 settembre 2017

Finisce il gran caldo



(Daniela)





Finisce il gran caldo; l'aria si fa dolce, e nei lunghi tramonti, tutta a pecorelle.
Le montagne intorno hanno una chiarezza di cristallo.
Sembra che il tempo torni indietro in primavera, e settembre somiglia ad aprile.
E' un mese tutto pieno di frutti: già l'uva è pronta per la vendemmia, e di fichi, di pere, di fichi d'India, si riempiono i panieri.
Si seccano al sole i fichi, si fa la prima mostarda.
L'aria stessa sembra color di miele.
Si cominciano a rompere le terre per le prossime sementi.
Appena tu senti, dall'alto, stridere la gru, che dà il segnale della stagione, appaia i tuoi buoi o le mule e vattene ad arare i campi, con animo lieto.
E' il tempo che ogni contadino dall'uscio di casa scruta sera e mattina l'aria e interroga le nubi; e come piove, allegrezza grande!
C'è bisogno di acqua che renda più docile la terra.
Si tirano fuori gli aratri, si aggiustano le zappe, i rastrelli e le pale.
Vicino al mare si vendemmia e per San Michele ogni uva si avvia alle cantine.



- Francesco Lanza -


martedì 12 settembre 2017

I pastori



(Daniela)





Settembre, andiamo. E' tempo di migrare. 
Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all'Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d'acqua natía
rimanga ne' cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d'avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!

Ora lungh'esso il litoral cammina
la greggia. Senza mutamento è l'aria.
il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquío, calpestío, dolci romori.
Ah perché non son io cò miei pastori?


- Gabriele D'Annunzio -






lunedì 11 settembre 2017

Ricordi di boy - scout

(Daniela)



Giorni fa ho pubblicato sul "Clan Mariapia" una cartolina illustrata anni '50 con dei piccoli boy-scout che, attorno al fuoco, cantano le loro canzoni. Questo ha riportato alla luce dei piacevoli ricordi nell'amica Nicoletta Ceresato, che mi ha mandato le canzoni che cantavano tutti insieme, e io ho poi cercato su Youtube. 



La prima è "Il risveglio", più conosciuta come "Al chiaror del mattin" o come il "Canto del risveglio", viene infatti cantato al mattino per dare la sveglia.




(Questa è la versione che ricorda Nicoletta)

Al chiaror del mattin, al chiaror del mattin,
ci sveglia la canzon, ci sveglia la canzon,
Al chiaror del mattin, al chiaror del mattin,
ci sveglia la canzon: è sorto il Sol!

Su leviam, su leviam,
Su leviam, su leviam,
per avere il Sol basta ridere...
Su leviam, su leviam,
Su leviam, su leviam,
non è tempo di esitar!

Se la pioggia cadrà, se la pioggia cadrà,
e tutto bagnerà, e tutto bagnerà,
Se la pioggia cadrà, se la pioggia cadrà,
più divertente ancor sarà!

Su leviam, ...

Se la neve cadrà, se la neve cadrà,
e tutto imbiancherà e tutto imbiancherà,
se la neve cadrà, se la neve cadrà,
più divertente ancor sarà!

Su leviam, ...

E se il vento verrà, e se il vento verrà,
e tutto spazzerà, e tutto spazzerà,
e se il vento verrà, e se il vento verrà,
più divertente ancor sarà!






"Alla Madonna degli Scouts" (conosciuto anche come "O Vergine di luce", "Scende la sera" oppure "Madre degli Esplorator") è un canto serale che proviene dalla tradizione scout francese e si cantava intorno al fuoco prima di andare a dormire sotto le tende.







Scende la sera e distende
il suo mantello di vel
ed il campo calmo e silente
si raccoglie nel mister.

O Vergine di luce, stella dei nostri cuor,
ascolta la preghiera, Madre degli esplorator.

O delle stelle Signora
volgi lo sguardo quaggiù
dove i tuoi figli sotto le tende
ti ameranno sempre più.

O Vergine di luce, ...

O tu più bianca che neve
nel tuo mantel verginal
con la dolcezza tua lieve
ci proteggi contro ogni mal.

O Vergine di luce, ...

Come le tende a noi care
s'avvolgono nel partir
così avvolgici col tuo pregare
quando saremo per morir.


O Vergine di luce, ...








"Alla sera laggiù nella valle"..... canto scout





Grazie a Nicoletta per avermi dato l'ispirazione per questo post!

domenica 10 settembre 2017

Vendemmia

(Daniela)





Con un secchio ed un cestello,
con le forbici o il coltello,
donne ed uomini, da ieri,
tutti allegri e faccendieri
colgon l’uva zuccherina
e la portano in cantina.
La vendemmia è un gran lavoro!
Nella vigna era un tesoro
di bei grappoli dorati.
Or li han colti e li han pigiati;
ed il mosto, in un gran tino,
già fermenta e si fa vino.


- Felice Socciarelli -





sabato 9 settembre 2017

Sorge il sole


(Daniela)





Le vacanze sono finite: si torna a casa, si ritorna a scuola.
Sergio, i suoi fratellini, le sorelline, sono felici lo stesso.
Anzitutto c'è il divertimento del viaggio, poi la soddisfazione di raccontare agli amici ed ai compagni di scuola le belle vicende della villeggiatura. 
La mattina della partenza tutti si alzano all'alba e, in attesa che il babbo e la mamma siano pronti per andare alla stazione, dalla terrazza della villa guardano per un'ultima volta la campagna e il mare. Bella è la campagna in questo finire del mese di settembre, con le vigne cariche d'uva nera e dorata, con gli alberi ricchi ancora di frutti, con le siepi, lungo le bianche strade polverose, nereggianti di more e liete di pigolìì di uccelli: ma ancora più bello è il mare, il nostro glorioso Adriatico, tanto azzurro e calmo che le vele bianche, gialle e rosse delle barche da pesca vi si riflettono come nelle acque di un grande porto.
- Ecco il sole - gridano i fanciulli.
Il sole infatti sorge dal mare; dapprima sembra la fiammella rossa di un faro, poi il suo globo s'innalza, s'ingrandisce, si fa d'oro, diffonde nel cielo e sul mare i suoi raggi sempre più luminosi.
Tutte le case diventano più belle, tutto sembra sorridere di gioia.
Anche gli occhi dei fanciulli scintillano più vivi, i loro capelli s'indorano, la loro allegria diventa chiassosa.
Ma s'acquietano e si fanno anche pensierosi, quando il babbo viene ad avvertire che è ora di partire, e volgendo uno sguardo intorno dice:
- La vostra vita di oggi, bambini, è come questa meravigliosa mattina.


- Grazia Deledda -

Illustrazione di Pio Pullini

(dal libro scolastico di terza classe del mio papà, anno 1931)