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mercoledì 29 novembre 2017

Il presepio (alla nonna)

(Daniela)


A Ceppo si faceva un presepino
con la sua brava stella inargentata,
coi Magi, coi pastori, per benino
e la campagna tutta infarinata.
La sera io recitavo un sermoncino
con una voce da messa cantata,
e per quel mio garbetto birichino
buscavo baci e pezzi di schiacciata.



Poi verso tardi tu m’accompagnavi
alla nonna con dir: “Stanotte L’Angelo
ti porterà chi sa che bei regali!”.
E mentre i sogni m’arridean soavi,
tu piano, piano mi venivi a mettere
confetti e soldarelli fra’ i guanciali.

- Gabriele D'Annunzio -




(Illustrazioni Zandrino)

martedì 28 novembre 2017

La vecchina del presepio.

(Daniela)


(illustrazione di Carla Ruffinelli)


“La vecchina abitava da anni (duecento? trecento?) sulla montagna più alta del presepe. Il presepe era quello che sta a Roma, presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, tra le rovine dei Fori Imperiali ed è uno dei più belli del mondo, con montagne, burroni, castelli, villaggi, palazzi, ponti, ovili, osterie, negozi, e migliaia di finestre aperte e dentro si vede la gente vivere. Ma la gente vive per lo più nelle strade, come a Napoli: centinaia e centinaia di figurine che vivono, comprano e vendono pesci, prosciutti, fichi secchi, castagne, caciotte. E scale, scalette, scalinatelle: tutto un labirinto festoso su cui scendono gli angeli a grappoli dal soffitto, e un lungo corteo di mori, cammelli, cavalli accompagna i Re Magi, e bambini accorrono incuriositi, ragazze ballano la tarantella per far onore agli ospiti, si mesce il vino, si drizzano tende ricche come regge.
Sulla collina più alta, nella casa più povera del villaggio, abitava la vecchina, e anche lei, la notte di Natale, si annodò in testa il fazzoletto più bello.



Preparò un fagottello di pomodori seccati al sole da portare in dono, e si incamminò a piccoli vecchi passi giù per un sentiero ripido, rotto ogni tanto da un mazzetto di gradini. Piano, piano, andava più piano di tutti. Ben presto la superò un gruppo di giovani, e in mezzo a loro ce n’era uno che suonava la fisarmonica. «Coraggio, nonnetta!» la salutarono. «Non é il coraggio che manca», rispose, fermandosi a guardarli «Andate, andate, belli di mamma vostra.» Ma quelli erano già arrivati in fondo alla valle, come una allegra valanga. Un vecchio che fumava la pipa sotto il portico di casa la chiamò: «Ce la farete ancora? E’ lunga la strada.» «Ce la farò, ce la farò. Sarò l’ultima, ma alla mia età non é vergogna.» La vecchina sospirò, ma seguitò a camminare. Non aveva tempo da perdere. E giù, e giù per sentieri e scale, e su, e su per scale e sentieri. Doveva passare ancora le montagne prima di giungere alla pianura. Poi bisognava attraversare la pianura e ricominciare a salire per un bel tratto, dentro e fuori dai paesi aggrappati alla strada. Ora c’era sempre più gente, per i sentieri, e dalle case ne usciva dell’altra. Donne dai balconi gridavano: «Aspettatemi.» Dalle finestre aperte la vita delle case si rovesciava fuori con luci, suoni e colori. La vecchina vide una ragazza che toglieva dal baule uno scialle prezioso.



«Ecco,» mormorò con un pochino di invidia «lo scialle della dote. Io non porto che questi pomodori seccati. Com'é triste esser poveri, qualche volta, quando non si possono fare bei regali.» 
Passò accanto a una casupola delle più meschine. Fuori dell’uscio una donna lavava dei panni in un mastello. 
«Che cosa fate, sposa?» borbottò la vecchina «Il bucato la notte di Natale?» 
La donna alzò gli occhi dal suo lavoro. Erano rossi e gonfi. 
«Mio marito é malato, bisogna che guadagni io qualcosa.» 
«Non sentite che i vostri bambini piangono?» 
«Li sento si. Vogliono andare con gli altri alla grotta. Ma io non ho tempo di vestirli, ecco perché piangono.» 
«Siete proprio un pulcino nella stoppa, non sapete cavarvela,» borbottò la vecchina. 
Entrò in casa, diede un’occhiata al malato e gli cambiò l’acqua nella caraffa, poi vestì i bambini, con gesti ruvidi e precisi, senza cessare di rimproverarli meccanicamente. Quelli non badavano ai rimproveri: sentivano le sue mani buone e svelte, si lasciarono vestire in fretta, si lasciarono strofinare la faccia con un asciugamano bagnato, ma quando furono pronti schizzarono via con uno strido acuto; come rondini. 


«Ti fanno perdere tempo, ma mica ti dicono grazie», borbottò la vecchina riprendendo il cammino. Ora poi cominciava a sentire appetito. Avrebbe chiesto volentieri qualcosa alla pastora che filava, con un gatto in grembo, alle donne che recavano in equilibrio sul capo grandi ceste colme di verdura, di ciambelle fatte in casa, di frutti profumati. Ma era troppo orgogliosa per farlo. 
Per fortuna un contadino che zappava, e la vide avanzare, già un poco vacillante, spiccò un arancio da un ramo e glielo offrì.

«Bravo,» gli disse la vecchina «pare che vi abbiano messo qui apposta per questo. Avevo giusto sete.» Disse “sete”, non “fame”, perché non le piaceva far sapere agli altri le sue cose, e non voleva essere compatita. 
«Ma vi pare la notte adatta per starvene a zappettare?» domandò poi. Voi che avete le gambe buone…» «Avrò presto finito. Coglierò un cestello di arance e mi avvierò. Volete scommettere che vi raggiungo prima del paese?» 
In paese la bottega del fornaio era aperta, la bocca del forno rossa di fuoco e il pane fresco profumava la notte.


La vecchina guardò da un’altra parte. Prigioniera del suo seggiolone, una pupetta grassa, rosea e lacrimosa strillava a più non posso, tuffando una mano rabbiosa nel piatto di spaghetti che le stava davanti. 
«E tu che hai?» domandò la vecchina «Non ti piace la pappa? Su, su che é buona.» Ma la bambina non si chetava e non voleva mangiare. Finalmente la vecchina scoprì che le era caduta per terra una bambola di stracci: gliela raccolse e la bambina sorrise. «Su,» disse la vecchina, arrotolando uno spaghetto intorno alla forchetta «mangia. Ah, am. Quant’é buono… E la tua mamma? Le tue sorelle? 
Tutte a vedere il corteo dei Magi, scommetto. E te, ti lasciano qui sola come un’orfanella. Mangia con la nonnina, su. Ecco, brava, brava.»

La bambina, mangiando, farfugliava il suo linguaggio di sillabe sperdute, di mugolii ed esclamazioni senza significato: «Baa… beee…. gnioooo… Uhhh!» 
La vecchina cominciò anche a parlare a quel modo, e intanto i minuti passavano, e passava la gente, sorridendo. Passò uno zampognaro, seguito da un codazzo di ragazzi. Passò quel contadino di prima, col suo cestello di arance. Solo quando il piatto fu vuoto la vecchina si riscosse, si guardò intorno, si rialzò. 
«Piccerella mia, bisogna che me ne vada, altrimenti non arriverò in tempo. Vedi laggiù, quel chiarore? E’ la cometa che sta per spuntare. » «Biaooo… booo» rispose la pupa. 
«Stai buona, si? Presto tornerà la tua mamma» 
Ora la folla era un fiume variopinto e chiassoso, risuonava di grida, di pifferi, di nacchere e la vecchina era quasi al centro del presepe, e la luce della stella saliva in cielo come un incendio di buon augurio, e per un po’ la vecchina fu presa a braccetto da un gruppo di ragazze che cantavano e camminavano a passo di danza, e questo le fece mancare il respiro. Dovette proprio sedersi un momento a riposare, sulla panca di una osteria campestre, ma non accettò il bicchiere di vino che l’oste le offriva, per paura che le mettesse il capogiro, bevve solo un po’ d’acqua. 
La gente passava. Era passata. Appena qualche ritardatario allungava il passo. Ecco, più nessuno. 
«Arriverò ultima anche quest’anno» sospirò la vecchina «e di lontano vedrò ben poco si sa. Le mie povere gambe mi fanno male come se me le avessero battute. 
Si fece coraggio, a passi sempre più brevi e incerti, e ogni tre passi doveva fermarsi un attimo perché il cuore si calmasse. I rumori e luci della gran festa erano come una nuvola che si allontanava. Le pause di silenzio erano sempre più lunghe e distese. In uno di quei silenzi udì «di nuovo! ancora» il pianto di un bambino. «Povero piccolo,» mormorò la vecchina «in una notte come questa, davvero, non ci dovrebbe essere al mondo un solo bambino che piange. No, no: in tutto il mondo non dovrebbe piangere nessuno. Ma tu dove sei, piccolo povero fantolino? Dove sei, bello di mamma tua?»
Il pianto veniva da una capanna posta a pochi metri dalla strada. C’era una siepe, intorno, ma così cadente che la vecchina non ebbe difficoltà ad attraversarla. La capanna era tutta buia, il pianto veniva di là. «Eccomi, eccomi,» sussurrava la vecchina, «eccomi, sono qui». Entrò nella capanna e proprio in quel momento per fortuna, la cometa superò l’ultima montagna, e illuminò tutto il cielo e al chiarore che penetrava dalla porta la vecchina vide il pagliericcio, la giovane donna che vi stava distesa con gli occhi chiusi, come svenuta, e il piccolo tutto nudo che giaceva accanto e piangeva.

«Ma tu hai freddo, ecco che cos’hai» esclamò la vecchina con la sua voce più dolce. 
E sempre parlando tra sé la vecchina si muoveva per la capanna, trovava le povere fasce preparate per il neonato, e lo avvolgeva. A un tratto «Grazie» senti dire con un filo di respiro. Si voltò, e vide che la giovane madre era tornata in sé. Era troppo debole per muoversi e per parlare, ma i suoi occhi riconoscenti dicevano tante cose. 
«Brava, brava» disse la vecchina. E intanto accendeva il fuoco; metteva un po’ di acqua a bollire e il fuoco rischiarava la capanna come una piccola, capricciosa cometa che giocava con le ombre. E poi venne l’alba, piano piano grigia, poi bianca e dorata. La madre e il bambino dormivano. La vecchina dormiva su una sedia, col mento sulla mano. E quando si svegliò era tornato il padre e la notte di Natale era passata, e la vecchina non era arrivata fino alla grotta, perché tutti quei bambini le avevano fatto perdere tempo, ma era contenta e serena, anche se non aveva visto i Re Magi, gli angeli lontano lontano; sopra un mare di teste, la grotta. 
Così lasciò quei pomodori seccati sul tavolo e si mise sulla via del ritorno, un passo dopo l’altro, nel silenzio del grande presepe addormentato, su su, in cima ai sentieri, ai tetti, alle scale, alle scalinatelle, fino a casa sua; che era la più vicina alle stelle”.


- Gianni Rodari -




(Foto personale, come il fornaio - presepe meccanizzato di Genova)

lunedì 27 novembre 2017

Il bambino senza scarpe

(Daniela - Luna Nera)





Era la notte Santa. Un povero calzolaio lavorava ancora nella sua unica stanza, dove viveva insieme alla moglie. Entro la mattina successiva, avrebbe dovuto consegnare un paio di scarpe per il figlio di un ricco signore.
- Hai già pensato a quello che potremo comprarci con il guadagno di questo lavoro? - chiese il calzolaio alla moglie.
- Sono piccole: ci daranno ben poco! - scherzò lei.
- Accontentiamoci! Meglio questo che niente!
Il calzolaio appoggiò le scarpe sul banco e se le guardò soddisfatto.
- Guarda che meraviglia! - esclamò. - E senti come sono calde con questa pelliccetta dentro!
- Un paio di scarpette degne di Gesù Bambino!
- Hai ragione - rispose il calzolaio mettendosi a spazzolarle.
- Allora, che cosa pensi di compare per il pranzo di domani? - riprese l'uomo dopo un attimo.
- Mah... pensavo a un cappone.
- Già, senza un cappone non sarebbe un vero Natale!
- Forse anche mezzo...
- D'accordo, e poi?
- Due fette di prosciutto.
- Sicuro: il prosciutto come antipasto. E poi?
- E poi il dolce.
- E poi la frutta secca...
- Giusto. E da bere?
- Una bottiglia di spumante.
- Sì, una bottiglia basterà, ma che sia buono!
A quel punto si sentì un colpo alla porta.
- Hanno bussato? - chiese l'uomo.
- Ma chi sarà a quest'ora? Forse il cliente...
- No, gliele devo portare io domattina.
- Allora sarà il vento.

Ma il rumore si sentì di nuovo. La donna aprì la porta ed ebbe un moto di sorpresa. Un bambino la guardava, con grandi occhi neri, dalla soglia della porta. I suoi capelli erano tutti spettinati e i suoi vestiti erano laceri e sporchi.
- Entra, piccolo - lo invitò la donna.
Il bambino entrò. Aveva le labbra bluastre dal freddo. Il calzolaio guardò subito i suoi piedini. - Ma tu sei scalzo! - gridò.
Il piccolo non parlò: guardò le scarpe, anzi le accarezzò con gli occhi, ma senza invidia.
L'uomo e la moglie guardarono prima i piedi nudi del bambino e poi le scarpe sul tavolo; quindi la donna fece un cenno al marito.
Il calzolaio prese in mano le scarpe, le osservò contento e disse:
- Prendile, te le regalo. Sono morbide e calde.
La moglie aiutò il bambino a infilarsele.
- Grazie - rispose sorridendo. - Sono le prime che porto. Ora però devo andare. Buona notte.
Il calzolaio e la moglie non ebbero neanche il tempo di salutarlo che il bambino era già sparito.
- E' fatta - esclamò l'uomo. - Ora niente più prosciutto, né cappone, né frutta, nè dolce.
- E neanche lo spumante! In fondo a me lo spumante non piace nemmeno.
- E io non digerisco il cappone! Anche del prosciutto posso farne a meno. E il dolce poi... C'è rimasta qualche noce e un po' di pane raffermo - disse la donna.
- Va benissimo. Passeremo un bel Natale.
Tutti e due pensavano al bambino. - Penso che gli siano piaciute molto le mie scarpe - aggiunse il calzolaio.
- Sì, mi sembrava molto contento.
In quel momento suonò la Messa di mezzanotte e la stanza si illuminò all'improvviso. Il calzolaio e la moglie furono abbagliati da quella luce; poi, quando riaprirono gli occhi, nel punto in cui il bambino aveva calzato le scarpe, videro spuntare miracolosamente un abete con una stella in cima. Dai rami penzolavano capponi, prosciutti, dolci, frutta secca e bottiglie di spumante.
Soltanto allora capirono chi fosse quel bambino e si inginocchiarono a ringraziare Dio.






domenica 26 novembre 2017

L'Angelo

(Daniela)





In una casetta un po' isolata viveva una simpatica vecchietta, la signora Sofia. Le faceva compagnia il suo fedele cane Fil, un cagnone che tra un pasto e l'altro dormiva sempre davanti al camino, usciva di casa ogni tanto.
Era dicembre e Fil non amava il freddo.





La vita scorreva tranquilla, la signora Sofia era l'anziana maestra del paese, spesso i ragazzi del villaggio venivano a farle visita, era famosa per le sue marmellate di lamponi e i ragazzi ne erano golosi, a lei piaceva avere visite, però con la neve le visite erano molto rare. Le giornate erano noiose e solitarie.




La notte scendeva presto e la vecchietta aveva l'abitudine di accendere una candela davanti alla finestra. Quando le chiedevano il perché di questa candela rispondeva: se qualcuno si perde nella notte troverà come raggiungere casa mia.




Si avvicinava il Natale e la signora Sofia pensava: sarà ancora un Natale solitario il mio. Non sapeva che tutto stava per cambiare.

Una notte si sentì un grande fracasso che svegliò la vecchietta, Fil non si mosse per niente, la signora Sofia si alzò e si avvicinò incuriosita e un po' impaurita alla finestra. Lì, sulla neve, c'era una grande luce, una luce molto strana. Per un momento le sembrò di essere ancora addormentata, quella luce aveva la forma d'un angelo. Non è possibile pensò. Prese il suo scialle e uscì di casa per vedere meglio: era proprio un angelo e si era ferito cadendo.

La vecchietta aiutò l'angelo ad entrare in casa: "Cosa ti e successo? Non pensavo che esistessero veramente gli angeli, da dove vieni?" la signora Sofia era così confusa che faceva mille domande all'angelo senza lasciargli il tempo di rispondere.

"Mi chiamo Willy, stavo andando da Babbo Natale, tocca a me quest'anno aiutarlo, e mentre volavo sopra la tua casa non ho visto il camino e sono caduto, credo di essermi rotto un'ala".




"Ma cosa racconti? Babbo Natale?
Mi sembra di trovarmi in mezzo ad una favola!"

"Si, ogni anno uno di noi viene scelto dall'angelo del Natale per aiutare Babbo Natale a leggere la posta che riceve da ogni parte del mondo".

"Prima di tutto devi rimetterti in piedi" disse la vecchietta, "ti farò subito una fasciatura, ti preparerò una cioccolata calda, dopo di che ti farai una bella dormita vicino al camino".

La signora Sofia sistemò l'angelo sul divano e andò a dormire. Poco dopo, il cane entrò nella stanza della sua padrona, cosa che non faceva mai e la vecchietta si svegliò per la seconda volta. Dal salotto si sentivano delle voci, allarmata si alzò per andare a controllare:
"Questo è troppo, anche due elfi nel mio salotto" esclamò.

L'angelo spiegò alla signora Sofia che, non vedendolo arrivare, Babbo Natale aveva mandato due elfi a cercarlo. La vecchietta si sedette su una poltrona e disse "Allora, chi sarà il prossimo ad entrare in casa mia? Babbo Natale?"


Gli elfi si presentarono, uno si chiamava Til e l'altro Tal. "Veniamo dal polo nord, aiutiamo Babbo Natale. Durante tutto l'anno Tal lavora al reparto giocattoli ed io, Til, mi occupo dell'abito di Babbo Natale e delle renne. Quando si avvicina il Natale abbiamo sempre bisogno di aiuto e Willy stava venendo da noi per occuparsi della posta quando è caduto davanti a casa sua".




"Vorrei potervi essere d'aiuto, ma non so in che modo! Non so volare e non ho i poteri magici di voi elfi", rispose la signora.
I due elfi si allontanarono per un attimo e parlarono tra di loro. Intorno sembrava tutto magico.
"Andiamo un attimo da Babbo Natale e torniamo".
La signora Sofia non fece in tempo a parlare che già erano spariti.
"Torneranno subito" disse Willy.
"Se lo dici tu!, io per la verità mi sento un po' confusa" disse la vecchietta.
Non aveva finito di parlare che Til e Tal erano già di ritorno. "Abbiamo parlato con Babbo Natale ed è d'accordo con noi, però per questo ci vuole atmosfera natalizia, quindi di qua l'albero, di là delle candele colorate, sulla porte una corona di pino e un carillon che suona dolce musiche natalizie", con un colpo di magia Til e Tal avevano addobbato la casa della signora Sofia.
Anche Fil si ritrovò un fiocco rosso intorno al collo.




"Fermatevi … voglio sapere il perché di tutti questi addobbi e in che cosa è d'accordo Babbo Natale?" disse la signora.
"Certo", rispose Tal, "Babbo Natale vuole sapere se lei è disposta a leggere la posta insieme a Willy.
Ogni sera la posta le sarà recapitata. In questo modo Willy potrà guarire e lei non sarà sola per questo Natale."
La signora accettò subito con grande gioia.
"Allora ci vediamo domani, dissero Til e Tal, e sparirono un'altra volta. "Beh, penso che andrò a dormire dopo tutte queste emozioni. Buona notte Willy." La mattina seguente la signora si svegliò e credendo di avere sognato pensò: quanta immaginazione alla mia età, sognare angeli , elfi, Babbo Natale. Quando entrò in salotto si dovette ricredere: tutto quello che pensava di avere sognato era vero! Lì, sul suo divano c'era Willy, l'angelo, che dormiva ancora e anche Fil dormiva con il suo fiocco rosso.
Il salotto sembrava una cartolina d'auguri.




La signora Sofia andò in cucina, preparò le sue buone frittelle con marmellata di lamponi e poi svegliò Willy.
"Willy svegliati, è mattino, dopo tante emozioni anche tu avrai fame, come ti senti?"
"Mi sento molto meglio" rispose l'angelo che si muoveva lentamente e ad ogni suo movimento sembrava spostare un raggio di luce. La sua voce era dolce come una melodia.
Dopo colazione la simpatica vecchietta e Willy fecero più ampia conoscenza Willy gli raccontò quali erano i diversi compiti di loro angeli, la signora Sofia parlò a sua volta delle sue passioni: il giardinaggio e la cucina.
La giornata passò così in fretta che già era scesa la notte.
Mentre erano seduti vicino al camino si sentì bussare alla porta.
La signora aprì e si trovò davanti un altro bellissimo angelo:
"Sono l'angelo del Natale, Babbo Natale mi ha incaricato di portarvi la posta ogni sera e di ritirare quella che avete già controllato" e sparì.




Per giorni si ripetè la stessa cosa ogni sera. Willy e la signora Sofia erano diventati buoni amici anche il cane Fil si era affezionato all'angelo e lo seguiva ovunque. Mancava un giorno al Natale, Willy era ormai guarito e la signora Sofia sapeva che la sera l'angelo del Natale sarebbe venuto a ritirare la posta per l'ultima volta. Quella sera l'angelo si presentò con Til e Tal.
"Buonasera, sono venuto a ritirare la posta per l'ultima volta, anche tu, Willy, ora che sei guarito te ne dovrai ritornare da noi subito dopo Natale."
Til e Tal ringraziarono la vecchietta per il suo prezioso aiuto e sparirono insieme all'angelo del Natale. La sera della vigilia c'era una grande gioia in casa della signora, anche se sapevano che il giorno dopo Natale la vita avrebbe ripreso il suo corso. Fil e Willy giocavano e la vecchietta era davanti alla sua finestra che accendeva la solita candela come ogni sera, quando vide arrivare da lontano una strana luce: "non ci posso credere! Willy! Nel cielo, quella scia di luce ...è proprio lui è Babbo Natale!"
La slitta si fermò davanti alla casa della signora Sofia, Babbo Natale scese e si dirisse verso la casa con in mano un pacchetto regalo, la vecchietta aprì la porta.




"Oh,oh,oh,oh,oh signora Sofia, prima di iniziare il giro sono venuto a ringraziarla di persona e a consegnarle questo regalo molto speciale". Nel pacchetto c'era un campanello. Willy spiegò alla signora che bastava suonare il campanello per rimanere in contatto con il suo angelo.



Prima che Babbo Natale andasse via, la signora gli fece dono della sua famosa marmellata.

"La saluto signora Sofia, grazie di tutto e BUON NATALE OH,OH,OH,OH,OH!" e Babbo Natale spari nel cielo.
Willy disse alla signora che la mattina di Natale anche lui sarebbe andato via, la vecchietta gli rispose che non era affatto triste, perché, grazie lui, lei aveva passato il più bel Natale della sua vita.
Da quel Natale la signora Sofia non si sentì mai più sola, sapeva che un amico molto speciale era sempre presente.



(dal web)


martedì 21 novembre 2017

Serata d'inverno al fuoco del camino.

(Daniela)





Raccontaci una favola
Senza robot ed astronavi 
senza razzi e super uomini 
accendi il camino 
e raggruppiamoci vicino 
tutti intorno agli anni tuoi 
alle tue profonde rughe 
raccontaci una favola nonna cara 
di quelle che di notte non fan dormire 
parlaci di orchi e dame 
cavalieri sui destrieri 
fai che ad ogni crepitio del fuoco 
i nostri cuori sembrino scappare 
parlaci di gnomi e boschi neri 
di dolci fate e perfide streghe 
fai sì che il tempo voli 
ed al finir della legna nel camino 
accompagnaci a letto 
restaci vicino 
nonna cara 
fai che risvegliandoci al mattino 
possiamo abbracciarci 
e ridere felici 
tra tutte le paure 
quella vera è saper 
di non poterti più ascoltare 
e consapevoli che ormai 
nessuna nonna ci sarà a raccontare. 


(Cesare Righi)



mercoledì 15 novembre 2017

La nonna

(Daniela)





D'inverno ti mettevi una cuffietta
coi nastri bianchi come il tuo visino,
e facevi ogni sera la calzetta,
seduta al lume accanto al tavolino.

lo imparavo la Storia Sacra in fretta
e poi m'accoccolavo a te vicino,
per sentir narrar la favoletta
del Drago azzurro e del Guerrin Meschino.

E quando il sonno proprio mi vincea
m'accompagnavi fino alla mia stanza,
e m'addormivi al suono dei tuoi baci.

Allora agli occhi chiusi m'arridea
di fantasime splendide e fugaci
in mezzo ai fiori, una gioconda danza.


- Gabriele D'Annunzio -

sabato 11 novembre 2017

San Martino (leggende e tradizioni)

(Daniela - Luna Nera)



LA LEGGENDA DI SAN MARTINO
 (da cui “l’estate di S. Martino”)
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Era l’11 novembre: il cielo era coperto, piovigginava e tirava un ventaccio che penetrava nelle ossa; per questo il cavaliere era avvolto nel suo ampio mantello di guerriero. Ma ecco che lungo la strada c’è un povero vecchio coperto soltanto di pochi stracci, spinto dal vento, barcollante e tremante per il freddo. Martino lo guarda e sente una stretta al cuore. “Poveretto, pensa morirà per il gelo!” E pensa come fare per dargli un po’ di sollievo. Basterebbe una coperta, ma non ne ha. Sarebbe sufficiente del denaro, con il quale il povero potrebbe comprarsi una coperta o un vestito; ma per caso il cavaliere non ha con sé nemmeno uno spicciolo. E allora cosa fare? Ha quel pesante mantello che lo copre tutto. Gli viene un’idea e, poiché gli appare buona, non ci pensa due volte: Si toglie il mantello, lo taglia in due con la spada e ne dà una metà al poveretto. “Dio ve ne renda merito!”, balbetta il mendicante, e sparisce. San Martino, contento di avere fatto la carità, sprona il cavallo e se ne va sotto la pioggia, che comincia a cadere più forte che mai, mentre un ventaccio rabbioso pare che voglia portargli via anche la parte di mantello che lo ricopre a malapena.
Ma fatti pochi passi ecco che smette di piovere, il vento si calma. Di lì a poco le nubi si diradano e se ne vanno. Il cielo diventa sereno, l’aria si fa mite. Il sole comincia a riscaldare la terra obbligando il cavaliere a levarsi anche il mezzo mantello.

Ecco l’estate di San Martino, che si rinnova ogni anno per festeggiare un bell’atto di carità ed anche per ricordarci che la carità verso i poveri è il dono più gradito a Dio.



TRADIZIONI.
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In Italia, per tradizione, il giorno di San Martino si aprono le botti per il primo assaggio del vino novello, accompagnato dalle prime castagne. Un tempo però in questo stesso giorno aveva termine, in molte zone del nord, l’anno lavorativo dei contadini.



Se il padrone del campo non chiedeva loro di restare a lavorare per lui anche l’anno dopo, questi dovevano traslocare e andare a cercare un altro padrone e un altro alloggio. Anche nella città divenne abituale, per chi aveva un alloggio in affitto, cambiare casa proprio a San Martino, perciò “fare San Martino” è diventato un modo per dire “cambio casa”. In provincia di Venezia si fa un dolce di pasta frolla a forma del santo sul cavallo e sopra è tutto guarnito con glassa colorata, caramelle, cioccolatini ecc. E' molto bello a vedersi e per chi piacciono i dolci di pasta frolla anche buono a mangiarsi. Di solito sono i fidanzati che lo regalano alle rispettive fidanzate.




L’11 Novembre, in Sicilia, nei tempi passati, S.Martino veniva festeggiato dalle persone ricche che potevano imbandire le loro tavole con prodotti dolciari di vario genere; i poveri, invece, dovevano attendere fino alla domenica successiva, in quanto aspettavano la simanata, cioè il salario settimanale, per potere assaporare i biscotti con il moscato. Nella giornata dell’11 Novembre, in Sicilia, si è soliti consumare i biscotti di San Martino, che hanno diverse varianti, a seconda delle zone in cui ci si trova. A Palermo, in particolare si è soliti mangiare tre tipi di biscotti: quelli semplici, quelli con la marmellata e quelli con la ricotta.







Va ricordato anche che in passato il periodo di penitenza e digiuno che precede il Natale cominciava il 12 novembre e quindi, anche per questo motivo il giorno prima, per San Martino appunto, si faceva una grande mangiata d’oca o di tacchino; era una specie di capodanno contadino e l’oca era considerata il maiale dei poveri. In ogni modo la scelta del grasso volatile come cibo tipico della festa di San Martino non è casuale perché dietro la popolare usanza gastronomica si celano vestigia di antiche credenze religiose che deriverebbero dalle celebrazioni del Samuin Celtico: l'oca di san Martino sarebbe dunque una discendente di quelle oche sacre ai Celti, simboli del Messaggero divino, che accompagnavano le anime dei defunti nell'aldilà. Una curiosità: nella cucina tradizionale romana non vi sono ricette per cucinare l'oca, forse per ancestrale riconoscenza dei Romani verso questi volatili, simbolo di fedeltà e vigilanza. D'altronde le oche che sorvegliavano il tempio della dea Giunone al Campidoglio riuscirono a salvare il colle dall'invasione dei Galli nel 390 a.C. dando l'allarme con le loro strida! San Martino, comunque, è un personaggio molto amato dalla tradizione in tutto il mondo: si contano più di 4000 Chiese in suo onore in Francia e svariate nel resto nel mondo, ed il suo nome è stato dedicato a diverse cittadine.



SAN MARTINO NEL MONDO.
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Anche in Svezia e in Danimarca è tradizione che, per San Martino, si mangi l’oca. Questa usanza è legata a un’altra leggenda. Si racconta che il Papa volesse a tutti i costi nominare vescovo Martino, che era umile e non desiderava occupare posizioni importanti, si nascose in un convento sperando che nessuno lo potesse trovare; voleva solo pregare e vivere semplicemente. In quel convento c’erano però delle oche. Le oche, è risaputo, sono animali chiassosi: non conoscendo quel monaco quando lo videro fecero un tale concerto di “qua, qua, qua” che alla fine Martino venne scoperto.


Da allora, in occasione di questa ricorrenza, ogni anno un’oca viene arrostita come punizione per quell’antica “soffiata”.

In Svizzera l’oca si mangia ripiena di fette finissime di mele; mentre in Germania la si riempie di artemisia profumata, mele, marroni glassati col miele, uva passita e le stesse interiora dell'animale. Dicono i tedeschi che l'oca perché sia veramente buona deve provenire dalla Polonia o dall'Ungheria, fra l'altro la patria di san Martino che era nato nell'antica Pannonia.

In Boemia, non solo si mangia l'oca per San Martino, ma se ne trae l'oroscopo per l'inverno: se le ossa sono bianche, l'inverno sarà breve e mite, se scure è segno di pioggia, neve e freddo.

In Francia, fin dal 1700, è usanza festeggiare l’arrivo dell' inverno l'11 novembre (giorno di S. Martino) mangiando un'oca.



In Germania la festa di San Martino i bambini si vestono in maschera e fanno un'allegra processione con delle lanterne di carta costruite da loro stessi, molto colorate e allegre e cantano dei canti tradizionali, alcuni vengono accompagnati da un "S.Martino" a cavallo e, la sera del 10 novembre, fanno un corteo portando in mano dei lumini accesi.



Anche loro vanno di casa in casa cantando una canzone e facendosi regalare dolcetti e soldini. È infatti tradizione riunirsi il pomeriggio, quando inizia a fare buio, accendere la propria lanterna appesa all’estremità di un ramo e partecipare alla processione detta Laternenumzug, cantando canzoncine come:

"Lanterne, lanterne, sole, luna e stelle, date luce a noi, date luce a noi, questa luce nel Mondo vogliamo portar!" 

La lanterna verrà accesa ogni sera come rito della buonanotte, fino all'arrivo del Natale: la lanterna rappresenta il calore dell'estate che teniamo con noi e che ci riscalda nel freddo dell'inverno.



E per concludere, la poesia più famosa dell'11 novembre:
San Martino.

La nebbia a gl'irti colli
piovigginando sale, 
e sotto il maestrale 
urla e biancheggia il mar; 

ma per le vie del borgo 
dal ribollir de' tini 
va l'aspro odor de i vini 
l'anime a rallegrar. 

Gira su' ceppi accesi 
lo spiedo scoppiettando: 
sta il cacciator fischiando 
sull'uscio a rimirar 

tra le rossastre nubi 
stormi d'uccelli neri, 
com'esuli pensieri, 
nel vespero migrar.


- Giosuè Carducci -


mercoledì 8 novembre 2017

"La bottega dei sogni"

(Daniela)
*Sei mai entrato nella magica bottega dei sogni? No?
Allora vieni con me.*



C’era una volta una piccola bottega, si trovava in un villaggio in mezzo alle montagne, tutti gli abitanti del luogo la chiamavano "La bottega dei sogni". Era una bellissima casetta di legno.
I proprietari erano due bravi vecchietti, il signor Aldo e la signora Sarah.



Il signor Aldo fabbricava i giocattoli, la signora Sarah faceva dolci e caramelle e si occupava del negozio, inoltre amava raccontare favole e leggende del suo paese, la Finlandia, ai bambini del villaggio. Tutti, nel villaggio, li chiamavano gli aiutanti di Babbo Natale.


Il negozietto era addobbato tutto l’anno come in periodo di Natale e la gente veniva da lontano per vederlo, per questo non chiudeva mai, neanche la domenica.



In un angolo del negozio c’era un vecchio libro di favole tutto impolverato. La signora Sarah raccontava ai bambini che quello era il libro dei sogni, ma guai ad aprirlo senza un motivo valido, se qualcuno lo avesse aperto senza un motivo, la festa di Natale sarebbe sparita per sempre. Per salvare di nuovo la festa ci sarebbe voluto un bambino che avesse in coraggio di entrare nel libro e affrontare la Regina delle Nevi, una perfida regina che odiava il Natale.


Per i bambini del villaggio era un’abitudine, il pomeriggio dopo la scuola, andare ad ascoltare le favole della signora Sarah e lei ne era felice, la più timida del gruppo era una bambina, si chiamava Emilie. Tempo prima la bambina aveva perso la voce cadendo in un burrone, per questo si sentiva un pò isolata e qualche volta gli altri bambini la prendevano in giro.

Emilie abitava vicino al negozio, era molto affezionata alla signora Sarah e al signor Aldo e spesso si fermava da loro anche più tempo degli altri bambini.



Quando si avvicinava il Natale andava ad aiutarli a confezionare i pacchi regalo e i due vecchietti erano felici, la consideravano come una nipotina, loro che non avevano figli.



Un giorno, mentre c’era molta gente nel piccolo negozio, un bambino aprì il libro magico. Arrivò subito un vento gelido, si mise a nevicare, tutti i giocattoli del piccolo negozio sparirono, anche gli addobbi natalizi. Cadde subito un velo di tristezza su " La bottega dei sogni ". Il Natale era sparito e con lui tutta la magia del piccolo negozio.



 La gente del villaggio cadde in disperazione, più di tutti il signor Aldo e la signora Sarah. La piccola Emilie, vedendo i suoi amici cosi tristi, decise di aiutarli. All’insaputa di tutti, ricordandosi dei racconti della signora Sarah, si recò in quel che era rimasto del negozietto, apri il libro e appoggiando la sua piccola mano sulla pagina fece un desiderio. Fu inghiottita dall’enorme libro.



Si ritrovò in un posto freddo, tutto pieno di neve e ghiaccio con davanti a lei una donna vestita di bianco.

"Sono la Regina delle Nevi e tu sei stata cosi stupida di aprire il libro una seconda volta, non vi è bastato perdere la festa di Natale?"

Emilie, che era senza voce, non poteva rispondere, si limitava a fissare la regina.

"Rispondi! Non posso esaudire il tuo desiderio! Il Natale non ritornerà mai! Io odio quella festa! Che festa stupida, i regali, la famiglia, le canzoni..."





Nel frattempo, al villaggio la signora Sarah si era accorta che il libro era stato di nuovo aperto. Non sapeva della piccola Emilie, però lascio il libro aperto. "Ormai il male è fatto, non può più succedere niente", pensò la vecchietta.

Nel Paese delle Nevi la regina era molto arrabbiata perché Emilie non rispondeva, continuava a chiederle di parlare ma la bambina rimaneva ferma davanti a lei.

"Non ti faccio paura?" Domandava la regina.

La bambina la fissava continuando a sfidarla con lo sguardo.

La regina, che perdeva la pazienza con molta facilità, era sempre più infuriata. Non capiva perché la bambina non rispondeva alle sue domande.
"Ma che devo fare con te? Non ti hanno insegnato a parlare? Sei proprio una maleducata, non ti voglio più tra i piedi, hai vinto, ti ridarò il Natale, basta che te ne vai. Un giorno o l’altro qualcuno riaprirà il libro dei sogni senza un motivo".



Come per incantesimo, Emilie si ritrovò fuori dal libro, la neve smise di cadere sul villaggio, il vento si calmò e il piccolo negozio ritornò quello di sempre.



I due vecchietti decisero di sotterrare il libro per sempre, ma prima vollero fare una cosa importante per Emilie che aveva avuto il coraggio di sfidare la perfida Regina delle Nevi. Portarono la bambina davanti al libro, lo aprirono e la signora Sarah chiese al libro di ridare la voce alla bambina.



 Il motivo era più che giustificato. Il desiderio fu esaudito subito ed Emilie ritrovò la voce per la gioia di tutti. Il libro fu seppellito in un pozzo e la perfida regina non potè più infastidire nessuno.
Nel piccolo villaggio ritornò la felicita e la gioia del Natale.


- testo dal web -