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mercoledì 31 gennaio 2018

La «magia» dell'inverno

(Daniela)




Nei giorni d'inverno, quando mi svegliavo, c'erano «fiori» bianchi di gelo, ai vetri delle finestre. Allora la mamma mi avvolgeva in una coperta di lana e mi portava giù, in cucina.

E da lì io vedevo la «magia».

Sul piano del focolare posava un po' di carta, sopra la carta metteva dei ramoscelli secchi ben ordinati, e su questi qualche pezzo di legno più grosso. 
Poi prendeva da una scatolina uno steccolino di legno e zac! lo strofinava e nasceva all'improvviso una fiammella. Avvicinava la fiammella alla carta e subito si
sprigionava il fuoco.
Il fuoco, con le sue fiamme dai colori diversi, era per me un mistero.
Osservavo a lungo, sotto il paiolo della polenta, mentre la mamma rimestava la farina, le lunghe fiamme che salivano da ogni parte e parevano vive, con quei colori mai uguali: rosso, violetto, giallo e persino verde e azzurro...
Nelle sere d'inverno, la mamma metteva sul focolare un grosso pezzo di legno che bruciava lento.
Io mi avvicinavo, lo toccavo con la paletta e lui mandava fuori scintille simili a stelline che salivano dentro il camino.


- Mario Lodi -

martedì 30 gennaio 2018

Tutti in attesa (Gennaio)


(Daniela)





Da qualche mese a casa di Marco si respira un’atmosfera un po’ diversa, particolare: sua moglie Elisa ha il “pancione”; sta aspettando il primo bambino. Una nuova creatura si affaccia alla vita per ripeterci ancora una volta che “Dio non si è stancato degli uomini”. Un piccolo esserino palpitante, destinato a scuotere involontariamente, come un sasso nello stagno, il normale andamento di tutte le famiglie coinvolte. Non solo quella del papà e della mamma i quali, con il cuore gonfi o di gioia e di trepidazione, cominciano a pensare che un “aiutino”, ora, sarà proprio necessario. Però a chi chiederlo?... Ma anche in quelle dei nonni, specialmente dei nonni materni, Giovanni e Pina, che abitano nello stesso isolato, e cominciano a provare qualcosa di simile, e insieme di diverso, da quando essi stessi aspettavano il loro primo bambino. Un po’ più preoccupata è l’attesa di nonna Pina. Non tanto per i piccoli problemi quotidiani che possono sorgere nell’ambito della custodia del bambino. E neanche per la capacità di donare affetto, tenerezza; nonna Pina ha già il cuore che le batte forte. Ma per il mondo di oggi, con la sua folle corsa, verso dove poi?... Il mondo di oggi con le sue sfide, i suoi trabocchetti, le sue sirene, a volte le sue crudeltà… “Riusciremo a trasmettere il bene, che pure c’è, ma che è meno visibile, meno appariscente?... Riusciremo a sintonizzarci sulla stessa lunghezza d’onda del progetto educativo del papà e della mamma?... Saremo all’altezza di interpretare bene e portare a termine questo grande compito?...”. Più serena, almeno all’apparenza, l’attesa di nonno Giovanni: “Stai tranquilla, Pina, ogni bambino nasce con il suo panierino!... Non ti fasciare la testa, insieme supereremo tutti i problemi… Confida nell’amore. Alla fine chi vince è sempre l’amore, e noi ne abbiamo tanto da donare”. E l’attesa continua nel segno della trepidazione ma anche della fiducia e della speranza.


lunedì 29 gennaio 2018

Inverno

(Daniela)



Chi la ricorda ancora
la bella primavera 
che sorridendo infiora
il monte e la riviera?

Un'uggia, un sopor greve
per campi, per le strade,
e il silenzio... e la neve 
che cade cade cade.

- A. Tona -


sabato 27 gennaio 2018

L'odore dell'Inverno

(Daniela)





Il tempo dapprincipio fu bello,
calmo. Schiamazzavano i
tordi, e nelle paludi qualcosa di vivo
faceva un brusio, come se
soffiasse in una bottiglia vuota.
Passò a volo una beccaccia e
nell'aria con allegri rimbombi.
Ma quando nel bosco si fece
buio e soffiò da oriente un vento
freddo e penetrante, tutto tacque.
Sulle pozzanghere si allungarono
degli aghetti di ghiaccio.
Il bosco divenne squallido, solitario.
Si sentì l'odore dell'inverno.

- Anton Cechov -

(da:  https://www.poesie.reportonline.it/)

venerdì 26 gennaio 2018

Filastrocca dei mesi

(Daniela)



Vien Gennaio freddoloso,
con la barba di ghiaccioli,
sotto il ciel cupo e nevoso 
coi suoi undici figlioli. 
Son Febbraio, Marzo e Aprile,
Maggio, Giugno, Luglio e Agosto;
poi Settembre, il più gentile,
ed Ottobre col suo mosto.
Ed infin Novembre, brullo,
e Dicembre, ultimo nato,
che riporta a ogni fanciullo
il Natal tanto sognato. 
Che simpatica famiglia
reca sotto il suo mantello!
Nessun mese si somiglia:
e a suo modo ognuno è bello.

- Luigi Santucci -

(ill. modificata di Mariapia Franzoni)


giovedì 25 gennaio 2018

Il gatto inverno

(Daniela)





Ai vetri della scuola stamattina
l'inverno strofina
la sua schiena nuvolosa
come un vecchio gatto grigio:
con la nebbia fa i giochi di prestigio,
le case fa sparire 
e ricomparire;
con le zampe imbianca il suolo 
e per coda ha un ghiacciolo 
Sì, signora maestra,
mi sono un po' distratto
ma per forza, con quel gatto, 
con l'inverno alla finestra 
che mi ruba i pensieri
e se li porta in slitta
per allegri sentieri.
Invano io li richiamo:
si saranno impigliati in qualche ramo
spoglio;
o per dolce imbroglio, chiotti chiotti,
fingon d'esser merli e passerotti.

- Gianni Rodari -


mercoledì 24 gennaio 2018

Scherzo di Gennaio

(Daniela - Luna Nera)




I rigori di gennaio

portan sempre qualche guaio;
acqua, freddo, ghiaccio e neve,
notte lunga, giorno breve,
influenza e raffreddore,
naso rosso a tutte l'ore.
Quando il ciel si mette al bello,
cercan tutti il solicello.

I piccini, intorno al mondo,
fanno un pazzo girotondo;
mentre quelli grandicelli
studian giochi novi e belli.
Sopra il ramo scheletrito,
l'uccellino è intirizzito.

Il comignolo sul tetto
fuma allegro e per dispetto
si diverte a far tossire
la civetta, da morire.
Ride un topo come un matto,
mentre strizza l'occhio al gatto.

- Mario Giusti -




(illustrazione in alto di Maria Cenci Soffiantini, modificata, da "Pagine gaie", in basso modificata da "La Regina delle nevi")

martedì 23 gennaio 2018

Gennaio

(Daniela)




Vien Gennaio
col suo saio
con il fianco
tutto bianco.

Viene innanzi il vecchierello
e via caccia il tempo bello;
reca seco giorni brevi,
nebbie, venti, ghiacci, nevi.

- Carola Prosperi -


lunedì 22 gennaio 2018

Vieni come sei

(Daniela)




Vieni come sei, non indugiare a farti bella.
Se la treccia s'è sciolta dei capelli,
se la scriminatura non è dritta, 
se i nastri del corsetto non sono allacciati,
non badarci.
Vieni come sei, non indugiare a farti bella. 
Vieni sull'erba con passi veloci. 
Se il rossetto si disfà per la rugiada, 
se gli anelli che tintinnano ai tuoi piedi si allentano,
se le perle della tua collana cadono, 
non badarci. Vieni sull'erba con passi veloci.
Non vedi le nubi che coprono il cielo? 
Stormi di gru si levano in volo
dall'altra riva del fiume 
e improvvise raffiche di vento
passano veloci sulla brughiera.
Le greggi spaurite corrono agli ovili. 
Non vedi le nubi che coprono il cielo? 
Invano accendi la lampada della tua toilet. 
la fiamma vacilla e si spegne nel vento.
Chi può accorgersi che le tue palpebre
non sono state tinte d'ombretto?
I tuoi occhi sono più neri delle nubi.
Invano accendi la lampada della tua toilet. 
Vieni come sei, non indugiare a farti bella. 
Se la ghirlanda non è stata intrecciata, 
che importa;
se il braccialetto non è chiuso. 
lascia fare.
Il cielo è coperto di nuvole - è tardi. 
Vieni come sei; non indugiare a farti bella.

- Rabindranath Tagore -

sabato 20 gennaio 2018

La signorina Felicita ovvero la felicità (VIII e ultima parte)

(Daniela)



.................

Nel mestissimo giorno degli addii
mi piacque rivedere la tua villa.
La morte dell'estate era tranquilla
in quel mattino chiaro che salii
tra i vigneti già spogli, tra i pendii
già trapunti da bei colchici lilla.
Forse vedendo il bel fiore malvagio
che i fiori uccide e semina le brume,
le rondini addestravano le piume
al primo volo, timido, randagio;
e a me randagio parve buon presagio
accompagnarmi loro nel costume.
«Vïaggio con le rondini stamane...»
«Dove andrà?» - 
«Dove andrò? Non so... Vïaggio,
vïaggio per fuggire altro vïaggio...
Oltre Marocco, ad isolette strane,
ricche in essenze, in datteri, in banane,
perdute nell'Atlantico selvaggio...
Signorina, s'io torni d'oltremare,
non sarà d'altri già? Sono sicuro
di ritrovarla ancora? Questo puro
amore nostro salirà l'altare?»
E vidi la tua bocca sillabare
a poco a poco le sillabe: giuro.
Giurasti e disegnasti una ghirlanda
sul muro, di viole e di saette,
coi nomi e con la data memoranda:
trenta settembre novecentosette...
Io non sorrisi. L'animo godette
quel romantico gesto d'educanda.
Le rondini garrivano assordanti,
garrivano garrivano parole
d'addio, guizzando ratte come spole,
incitando le piccole migranti...
Tu seguivi gli stormi lontananti
ad uno ad uno per le vie del sole...
«Un altro stormo s'alza!...» - 
«Ecco s'avvia!»
«Sono partite...» - 
«E non le salutò!...»
«Lei devo salutare, quelle no:
quelle terranno la mia stessa via:
in un palmeto della Barberia
tra pochi giorni le ritroverò...»
Giunse il distacco, amaro senza fine,
e fu il distacco d'altri tempi, quando
le amate in bande lisce e in crinoline,
protese da un giardino venerando,
singhiozzavano forte, salutando
diligenze che andavano al confine...
M'apparisti così come in un cantico
del Prati, lacrimante l'abbandono
per l'isole perdute nell'Atlantico;
ed io fui l'uomo d'altri tempi, un buono
sentimentale giovine romantico...
Quello che fingo d'essere e non sono!

- Guido Gozzano -


venerdì 19 gennaio 2018

La signorina Felicita ovvero la felicità (parte I)


(Daniela)

Vladimir Volegov

Testo del poemetto poetico (anno 1911)



Signorina Felicita, a quest'ora
scende la sera nel giardino antico
della tua casa. Nel mio cuore amico
scende il ricordo. E ti rivedo ancora,
e Ivrea rivedo e la cerulea Dora
e quel dolce paese che non dico.

Signorina Felicita, è il tuo giorno!
A quest'ora che fai? Tosti il caffè,
e il buon aroma si diffonde intorno?
O cuci i lini e canti e pensi a me,
all'avvocato che non fa ritorno?
E l'avvocato è qui: che pensa a te.

Pensa i bei giorni d'un autunno addietro,
Vill'Amarena a sommo dell'ascesa
coi suoi ciliegi e con la sua Marchesa
dannata, e l'orto dal profumo tetro
di busso e i cocci innumeri di vetro
sulla cinta vetusta, alla difesa…

Vill'Amarena! Dolce la tua casa
in quella grande pace settembrina!
La tua casa che veste una cortina
di granoturco fino alla cimasa:
come una dama secentista, invasa
dal Tempo, che vestì da contadina.

Bell'edificio triste inabitato!
Grate panciute, logore, contorte!
Odore d'ombra! Odore di passato!
Odore d'abbandono desolato!
Fiabe defunte delle sovrapporte!

Ercole furibondo e il Centauro,
le gesta dell'eroe navigatore,
Fetonte e il Po, lo sventurato amore
d'arianna, Minosse, il Minotauro,
Dafne rincorsa, trasmutata in lauro
tra le braccia dl Nume ghermitore…

Penso l'arredo - che malinconia -
penso l'arredo squallido e severo,
antico e nuovo: la pirografia
sui divani della Bella Otero
alle specchiere… che malinconia!

Antica suppellettile forbita!
Armadi immensi pieni di lenzuola
che tu rammendi paziente…Avita
semplicità che l'anima consola,
semplicità dove tu vivi sola
con tuo padre la tua semplice vita!
...................................

- Guido Gozzano -



Questo poemetto fu pubblicato per la prima volta sulla "Nuova Antologia" del 16 marzo 1909, e poi confluito nella seconda sezione - titolata Alle soglie - della raccolta I colloqui, pubblicata nel 1911.
Racconta la storia, solo immaginaria, di una signorina Felicita che abitava in una villa del canavese, probabilmente del Gozzano.
Strutturato internamente in otto parti e recante il sottotitolo di "idillio", il testo tratta una vicenda molto semplice, e tipicamente medio-borghese: il protagonista è un avvocato - all'incirca identificabile con Gozzano stesso - in vacanza nel Canavese (zona del Piemonte in provincia di Ivrea) lì si innamora di una donna, Felicita. La situazione, tipica di gran parte della lirica amorosa della tradizione, dà allora l'occasione a Gozzano di intessere dei piccoli quadretti di vita, dove, tra il serio e il faceto, cantare ironicamente sia la bellezza di Felicita che l'ambiente della villa di campagna in cui le vicende hanno luogo (la "Vill'Amarena" dei "bei giorni d'un autunno addietro"). Il tutto è appunto filtrato dalla dimensione malinconica del ricordo.

(dal web)


giovedì 18 gennaio 2018

Il filo di cotone

(Daniela)



C'era una volta un filo di cotone che si sentiva inutile.
«Sono troppo debole per fare una corda» si lamentava. «E sono troppo corto per fare una maglietta. Sono troppo sgraziato per un Aquilone e non servo neppure per un ricamo da quattro soldi. Sono scolorito e ho le doppie punte... Ah, se fossi un filo d'oro, ornerei una stola, starei sulle spalle di un prelato! Non servo proprio a niente. Sono un fallito! Nessuno ha bisogno di me. Non piaccio a nessuno, neanche a me stesso!».
Si raggomitolava sulla sua poltrona, ascoltava musica triste e se ne stava sempre solo. Lo udì un giorno un mucchietto di cera e gli disse: «Non ti abbattere in questo modo, piccolo filo di cotone. Ho un'idea: facciamo qualcosa noi due, insieme! Certo non possiamo diventare un cero da altare o da salotto: tu sei troppo corto e io sono una quantità troppo scarsa. Possiamo diventare un lumino, e donare un po' di calore e un po' di luce. È meglio illuminare e scaldare un po' piuttosto che stare nel buio a brontolare».
Il filo di cotone accettò di buon grado. Unito alla cera, divenne un lumino, brillò nell'oscurità ed emanò calore. E fu felice.

- dal web -


mercoledì 17 gennaio 2018

Le pannocchie

(Daniela)





(immagine di Fabio Faorzi, anno 1950 -modificata-)



Or che il granturco fu raccolto, a gara
le massaie hanno appeso in molte file
alle rozze verande le pannocchie.
Splendono le pannocchie sui graticci
di legno, gialle, d’un bel giallo ardente
ch’è quasi rosso, fitte di rotondi
chicchi, liete allo sguardo e liete al cuore.

Voi superbe, o massaie, per la casa
parata a festa come al Corpus Domini,
quando fra canti e mortaretti passa
col suo Gesù la Vergine Maria!
Splendono le pannocchie al sol d’autunno,
tutte certezza; ed ai fanciulli parlano
della polenta che la madre al fuoco
del nel paiolo rimesta, e d’un sol colpo
sul tagliere arrovescia, e, nel buon fumo
ravvolta, suddivide in tante fette
quante le bocche.

Giunto poi che sia
gennaio con la sizza come frusta
che scocchi su la pelle e con la neve
alta sino ai polpacci, oh, benedetta
la polenta che scalda mani, gola
e sangue, mentre sugli alari avvampano
secchi rami di pino intorno al ceppo,
e dalle travi del soffitto in strane
ombre discende, adagio adagio, il sonno.


- Ada Negri -

martedì 16 gennaio 2018

Gennaio

(Daniela)



Bigio il ciel, la terra brulla,
questo mese poverello
nella sporta non ha nulla
ma tien vivo un focherello.

Senza greggia e campanello
solo va, pastor del vento.
Con la neve sul cappello
fischia all'uscio il suo lamento.

Breve il dì, lunga la notte,
cerca il sole con affanno.
ha le tasche vuote e rotte,
ma nasconde il pan d'un anno.

- Renzo Pezzani -


sabato 13 gennaio 2018

Un giorno… un Angelo

(Daniela)




Il mio viso spiaccicato al vetro della finestra, più che il viso era il naso che mi doleva, guardavo la pioggia che con forza e rabbia cadeva dal cielo sospinta dal vento.
Attaccato a un ramo vidi un sottile velo azzurro che s’era impigliato, stupito e meravigliato mi domandai a chi appartenesse e com’era volato fin li.
Mi balenò un pensiero nella mente, (e se appartenesse ad un Angelo?), ma cosa andavo pensando, perché un Angelo sarebbe sceso sulla terra? Forse l’aveva mandato Dio in aiuto di qualcuno? Qui da me il paese è piccolo e ci conosciamo tutti benissimo, e che io sappia nessuno aveva bisogno di un Angelo.
La pioggia non dava segno di calmarsi, anzi al già brutto tempo si aggiunsero lampi e tuoni, la sera era ormai scesa anche se sembrava già notte dalle prime ore del mattino.
Indossai il pigiama e andai a letto, dalle imposte mal chiuse i lampi entravano nella mia camera illuminandola come se l’occhio di Dio volesse vedermi da vicino, e urlarmi nelle orecchie con il gran vociare del tuono. A dire il vero mi entrò il freddo e incominciai a tremare pensando se fosse stato vero quel mio pensiero.
Quella notte sognai tante colombe bianche che volteggiavano nel cielo, ed io le vedevo come Angeli che giocavano a nascondino dietro a nuvole bianche, Angeli creature celestiali a me tanto care.



 Al mattino, quando il primo raggio di sole fece capolino nella mia camera, destandomi, il bel sogno svanì. Corsi subito alla finestra della cucina per vedere se c’era ancora quel pezzo di velo… no! Non c’era più, forse il forte vento l’aveva portato via.
Mi chiesi: “Chi sa se il buon Dio avrà sgridato quell’Angelo per essersi strappata la veste, ma no, Dio è amore, Dio è perdono e come tale gli avrà sorriso e riparato quello strappo."
Una volta fatto colazione, vestito, uscii di casa come tutte le mattine per andare a scuola. Meno male che il brutto tempo era passato e il sole con il suo bel cerchio dorato infondeva calore a tutto e tutti. Così arrivai a scuola, e con mio stupore quando entrò il prete per la lezione di religione ci parlò degli Angeli. Mentre il prete ci spiegava quale era il loro compito, io incominciai a fantasticare e già mi vedevo in quelle azzurre praterie celesti svolazzare per mano a loro, e mi sentivo leggero come una piuma, e il mio corpo traspariva tanto da vedervi attraverso.
Il prete continuava la sua spiegazione; io eri li con il corpo, ma con la mente era ancora tra gli Angeli, e non sarei tornato alla realtà se il mio compagno di banco non mi avesse dato un colpo sulla spalla, per dirmi che il prete mi aveva fatto una domanda.
Caduto come dalle nuvole, dissi: “Sono creature meravigliose” senza sapere a cosa dovevo rispondere; lui accennò un sorriso e mi disse: “Seduto”, mentre nel frattempo suonò la campanella, segnando la fine delle lezioni e della scuola per quel giorno.


Nel ritornare a casa, non percorrevo una strada, ma bensì un sentiero che attraversava la campagna; l’aria era fresca ma non fredda, il cinguettio degli uccelli accompagnavano i miei passi, ed io mi sentivo felice, non so perché, ma ero felice.
Vidi in lontananza un cane, un grosso cane correre verso di me, ed io per prudenza mi ero fermato, anche perché avevo paura, ma passò quando nell’avvicinarsi riconobbi il mio cane (Lupo si chiamava). Mi fece un festa, e senza nulla dirgli mi prese la cartella con la bocca e camminammo insieme verso casa. Sul cancello ad aspettarmi c’era un Angelo, non del cielo, ma terreno, si! Era la mia Mamma. Donna meravigliosa che nel suo sorriso nascondeva il suo dolore e tormento di quella nascita, e nei suoi occhi si poteva vedere il mare delle sue lacrime che non solcarono le sue rosee guance, ma devastarono la sua anima.


Mi prese tra le sue braccia e mi diede un bacio, ed entrammo in casa. La tavola era apparecchiata, e ognuno era seduto al suo posto, mancavamo solo io e la MAMMA; a pranzo finito io mi alzai per primo ed andai nel giardino. Lì mi sentivo un Re, nessuno mi avrebbe guardato o fatto domande a cui non avrei saputo dare risposta o non volevo darle.
Le ore passavano, ed era ora di riporre la fantasia e di incominciare a fare i compiti. Il sole ben presto sarebbe andato a letto, e la sera senza fretta stava salendo, cosi un altro giorno stava morendo.
La MAMMA seduta al tavolo rammendava i miei strappi, e tra uno e l’altro preparava la cena. Io leggevo un libro di favole, e non osavo andare nell’ingresso o nelle altre stanze, perché da un po’ di tempo mi sentivo chiamare da voci, e poi vedevo ombre volteggiare su nude pareti dall’aspetto D’Angeli, e tutto questo mi metteva paura. Da allora di sera restavo sempre in cucina con la MAMMA.
Ma in una di quelle sere, mentre giocavo come sempre mi sentii chiamare più volte e un’ombra faceva capolino dalla porta della galleria che portava in cucina, presi tutto il mio coraggio rimastomi e, senza pensarci, andai a frugare in quel buio cercando di vedere o sentire qualcosa. Incominciai a tremare come foglia al vento quando una voce mi disse “Luigi non temere sono un Angelo” e la sua mano mi sfiorò la guancia. Volevo chiamare la MAMMA ma ero divenuto freddo e rigido come una statua da non potere muovere neanche un muscolo.



Piano, piano, ripresi a muovermi e a parlare, tale da indurre mia MAMMA a dirmi “Luigi con chi parli?” con L’Angelo” risposi, Ella, credendo che giocassi, disse: “va bene”. Da quella sera non ebbi più paura e, tutte le sere, andavo a parlare e a giocare con il mio Angelo.

- Luigi Calloni -

venerdì 12 gennaio 2018

Il risveglio del vento

(Daniela)




Nel colmo della notte, a volte accade
che si risvegli, come un bimbo, il vento.

Solo, pian piano, vien per il sentiero,
penetra nel villaggio addormentato.

Striscia guardingo sino alla fontana,
poi si sofferma, tacito in ascolto.
Pallide stan tutte le case intorno;
tutte le querce mute.


- Rainer Maria Rilke -

giovedì 11 gennaio 2018

Negozietti

(Daniela)



(ill. Norman Rockwell)



Certe volte passo dinanzi a negozietti, per esempio nella Rue de Seine. Rigattieri o piccoli commercianti di libri antichi o di acqueforti, con vetrine zeppe.
Da loro non entra mai nessuno, evidentemente non fanno affari.
Ma se si guarda dentro, li si vede sedere, sedere e leggere, noncuranti; non si curano del domani, non si preoccupano del guadagno, seduto innanzi a loro hanno un cane, soddisfatto, o un gatto che fa ancora più grande il silenzio strofinandosi lungo le file di libri, quasi spolverasse i nomi sui dorsi. Oh, se ciò bastasse: vorrei certe volte comperarmi una di quelle vetrine zeppe e sedermi là dietro con un cane per vent’anni.


- Rainer Maria Rilke
da "I quaderni di Malte Laurids Brigge" 1910 -


mercoledì 10 gennaio 2018

La pietra azzurra

(Daniela)




Il gioielliere era seduto alla scrivania e guardava distrattamente la strada attraverso la vetrina del suo elegante negozio. Una bambina si avvicinò al negozio e schiacciò il naso contro la vetrina. I suoi occhi color del cielo si illuminarono quando videro uno di quegli oggetti esposti. Entrò decisa e puntò il dito verso uno splendido collier di turchesi azzurri. "E' per mia sorella. Può farmi un bel pacchetto regalo?". Il padrone del negozio fissò incredulo la piccola cliente e le chiese: "Quanti soldi hai?".


Senza esitare, la bambina, alzandosi in punta di piedi, mise sul banco una scatola di latta, la aprì e la svuotò. Ne vennero fuori qualche biglietto di piccolo taglio, una manciata di monete, alcune conchiglie, qualche figurina.

"Bastano?" disse con orgoglio. "Voglio fare un regalo a mia sorella più grande. Da quando non c'è più la nostra mamma, è lei che ci fa da mamma e non ha mai un secondo di tempo per se stessa. Oggi è il suo compleanno e sono certa che con questo regalo la farò molto felice. Questa pietra ha lo stesso colore dei suoi occhi".

L'uomo entra nel retro e ne riemerge con una stupenda carta regalo rossa e oro con cui avvolge con cura l'astuccio.



 "Prendilo" disse alla bambina. "Portalo con attenzione".
La bambina partì orgogliosa tenendo il pacchetto in mano come un trofeo.
Un'ora dopo entrò nella gioielleria una bella ragazza con la chioma color miele e due meravigliosi occhi azzurri. Posò con decisione sul banco il pacchetto che con tanta cura il gioielliere aveva confezionato e dichiarò: "Questa collana è stata comprata qui?".
"Si, signorina".
"E quanto è costata?".
"I prezzi praticati nel mio negozio sono confidenziali: riguardano solo il mio cliente e me".
 "Ma mia sorella aveva solo pochi spiccioli. Non avrebbe mai potuto pagare un collier come questo!".

Il gioielliere prese l'astuccio, lo chiuse con il suo prezioso contenuto, rifece con cura il pacchetto regalo e lo consegnò alla ragazza. "Sua sorella ha pagato. Ha pagato il prezzo più alto che chiunque possa pagare: ha dato tutto quello che aveva".


- Don Bruno Ferrero -

martedì 9 gennaio 2018

Viene adagio la sera

(Daniela)



Viene adagio la sera, camminando
tra gli alberi lontani nella neve
e silenziosa preme le sue guance
fredde alle finestre, per spiare.


E nelle case cresce il buio.
I vecchi sulle sedie pensano,
le madri sono come regine,
i bambini lasciano da parte i giochi
e le ragazze non filano più.


La sera fuori tende l'orecchio
nella casa, e dentro ascoltano
il silenzio della sera.


- RAINER MARIA RILKE -


lunedì 8 gennaio 2018

Inverno

(Daniela)







L'inverno dietro ai vetri, il fuoco nel camino,
una coperta morbida e un compagno vicino;
Un bel libro di fiabe, una tazza di tè...
queste sono le cose che piacciono a me!

- A. Turchetti -




(illustrazione di Chris Dunn)

domenica 7 gennaio 2018

In casa d' inverno.

(Daniela)



Fra poco la pioggia ed il vento
faranno più caldo il tuo nido.
E’ dolce restare là dentro,
allora che il tempo è malfido.
La lampada sopra la mensa
diffonde soave la luce;
e mentre si studia e si pensa,
vicina è la mamma che cuce.
La stufa di terracotta,
nell’angolo del tinello,
scoppietta, scintilla, borbotta
dall’occhio del rosso fornello.
Il pendolo suona le ore;
anch’esso ti fa compagnia,
col tac tic tac del suo cuore,
mentre la sera s’avvia.
Oh, quanto d’amore è pervasa,
d’inverno, la voce di casa!



(V. Seganti Pagani)


sabato 6 gennaio 2018

La bottega della Befana

(Daniela)



Se ci fosse davvero un negozio della Befana lo frugheresti da cima a fondo. Purtroppo il negozio della Befana non esiste, devi aspettare che i regali arrivino il 6 gennaio consegnati direttamente dalla Befana.

Era la mattina dell’Epifania.

Per tutta la notte la Befana e la sua serva Teresa erano state in giro per tetti e per camini a portare i doni ai clienti.



I loro vestiti erano ancora coperti di neve e di ghiaccioli.
-Fffffffffff ddddddddd accendi la stufa – disse la Befana – così ci asciugheremo.


-E riponi la scopa: per un annetto buono non ci servirà.
Teresa rimise la scopa nel solito angolo, borbottando.
Sarà bello volare con la scopa. Ma adesso che ci sono fior di aeroplani e di razzi non ne vedo proprio l’utilità-.

Intanto il raffreddore me lo sono preso e me lo tengo.
Preparami una buona camomilla – ordinò la Befana, inforcando gli occhiali e sedendosi nella vecchia poltrona di pelle nera davanti alla scrivania.
Cominciò a sfogliare le lettere che aveva trovato nella cassetta della posta, di ritorno dal suo giro.
 Ecco qua – borbottò – me l’aspettavo: io sfido la tramontana, io rischio l’osso del collo sulle tegole gelate e loro non sono mai contenti.

Comunque, i giocattoli che avevo in negozio li ho dati via tutti, e oggi bisognerà portarne su degli altri dal magazzino…
Teresa, prepara la chiave del magazzino e la candela.-
-Vuol lavorare anche oggi che è la sua festa?
Ormai la notte della Befana è passata-.
-Già, ma alla Befana nuova mancano solamente trecentosessantacinque notti!-

- Gianni Rodari -